39. ALEASE HA 32 ANNI

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Garland. Un borgo di seicento anime dove tutti conoscono tutti, dove il tuo vicino di casa è il maestro di matematica, la dirimpettaia è la fornaia dove ogni mattina vai a comprare il pane con tua madre, dove il posto più pericoloso è il fossato alle spalle della Chiesa dove i ragazzini vanno a fare gli eroi e tornano inzaccherati di fango e con le ginocchia sbucciate.

Garland. Il luogo dove Alease era nata e cresciuta, sempre nello stesso quartiere, nella stessa via, nella stessa casa. Negli anni i vicini non si erano susseguiti come a Hope Mills. C'erano sempre la signora Brown con i suoi cinque gatti, i signori Kruger che avevano un figlio della sua età con cui da piccola giocava sempre nella stradina di ghiaia che terminava con la loro casa, la più piccola e austera, grigia dentro e fuori, piena di mobili antichi tramandati di generazione in generazione e tenuti fino allo sfinimento o fino a che le tarme non divoravano ogni superficie di legno.

Alease parcheggiò di fronte alla sua vecchia casa, sentendosi tremare tutta. Non pensava che avrebbe provato una tale agitazione nel rivedere quei luoghi e il fatto che Drew fosse seduto accanto a lei non migliorava la situazione.

«È quella?» chiese il ragazzo, sollevando lo sguardo dal cellulare con cui aveva giocherellato fino ad allora.

«Sì.»

«Dai, suona, magari non ci sono neanche.»

Drew le pareva annoiato, quasi scocciato. Non era stato felice all'idea di passare quel sabato pomeriggio con la madre, ma almeno non si era neanche sconvolto quando lei gli aveva confessato che i suoi nonni erano ancora vivi. Drew aveva sollevato un sopracciglio e chiesto: «Perché mi hai detto che erano morti, allora?»

Alease si era aspettata quella domanda e si era preparata la risposta. «Non pensavo che te li avrei mai fatti conoscere. Loro non hanno mai chiesto di te e si sono dimenticati di me.»

E allora Drew aveva chiesto, giustamente, per quale motivo volesse farglieli conoscere proprio ora. A questo Alease non sapeva proprio rispondere. Lo aveva solo pregato di salire in auto con lei e dopo quello che le era parso un tempo interminabile erano arrivati.

Scese dall'auto e percorse a passo di lumaca la distanza che la separava dal cancelletto col tetto inclinato che serviva a proteggere la posta dalla pioggia. I nomi sul citofono si erano un po' sbiaditi; Alease avvertì un tuffo al cuore non trovando il proprio.

Schiacciò il campanello. Non ne udì il suono, ma ricordava esattamente il trillo cupo che risuonava nella casa quando arrivava qualche ospite.

Aspettò col cuore in gola ma non accadde niente. Le finestre rimasero scure, la porta serrata. Suonò di nuovo con lo stesso risultato.

Tornò sui suoi passi. Drew aveva abbassato il finestrino. «Non ci sono?»

Alease scosse la testa, poi suonò dalla signora Brown, che si affacciò immediatamente dal terrazzo superiore.

«Salve signora. Sa per caso se i miei sono in casa?»

La vecchia si sistemò gli occhialini sul ponte del naso, scrutandola. «Ma sarai mica... Sei Alease?» Al cenno affermativo di lei, la vecchia sorrise, mostrando le gengive vuote. «Che mi venga un colpo! La figliol prodiga è tornata!»

Alease arrossì. «Solo in visita. Dove sono i miei genitori?»

«Tua madre è alla mensa.» Un gatto miagolò, strusciandosi contro le grate del terrazzo.

«E mio padre?»

«Penso sia ancora in ospedale, cara.»

«Cosa gli è successo?» domandò preoccupata.

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