36. ALEASE HA 32 ANNI

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«Alease?»

Alease era tutta concentrata nella lettura della lista della spesa. Tutti le avevano sempre detto che aveva una scrittura da gallina. Aveva scritto di fretta e lei stessa faticava a decifrare quei geroglifici stilizzati. Era una cosa divertente e tragica al tempo stesso.

Era nel reparto surgelati, col carrello già mezzo pieno, quando si sentì chiamare. Sollevò lo sguardo e incontrò un paio di occhi azzurri, un sorriso che si fece subito più ampio, un mento ombreggiato da una corta barbetta scura e un viso rotondo così familiare che si ritrovò a sgranare gli occhi.

«Pete?!»

Lui annuì ridendo. «Ero convito che fossi tu, non sei cambiata di una virgola rispetto a quindici anni fa.»

«Neanche tu! Sei uguale, proprio! Oddio, quanto tempo!» Alease faticava a contenere l'entusiasmo e vederne corrisposto uno eguale, nonostante la scarsa intimità che c'era stata tra loro in passato, la esaltava. Le sembrava di tornare ragazzina, quando gonfiava il petto contro la sua mano mentre cantava. «Che ci fai qui?»

«Mi sono trasferito da poco.»

«A Hope Mills?»

«Sì, con mia moglie.»

«Ti sei sposato?»

Il suo sguardo scintillante si smorzò. «È morta da poco.»

«Oddio, mi dispiace tantissimo, Pete. Come stai?»

«È dura» non le nascose lui, sospirando. «Non stavamo insieme da tanto, ma era diventata una parte di me, anche se gli ultimi tempi sono stati difficili.»

«Era malata?»

«No, lei...» Una signora alle sue spalle diede un colpo di tosse spazientita perché col carrello stava bloccando la corsia. Pete si scostò, scusandosi. «Senti, ti va di berci un caffè, finita la spesa?»

«Volentieri» sorrise Alease.

Prese le ultime cose, dopo essere riuscita bene o male ad interpretare la lista, pagò e attese Pete all'uscita del supermercato. Da lì si diressero in un bar vicino, un posticino caldo e accogliente.

Dopo un po', Pete iniziò a parlarle della moglie. «Leslie aveva il temperamento irlandese. Focosa e irascibile, spesso melodrammatica, molto buffa. Era difficile conviverci, ma penso fosse difficile anche per lei sopportare sé stessa.» Un sorriso affettuoso gli disegnava le labbra e Alease sorrideva con lui. «Era sempre sicura di sé, matura, ma ogni tanto faceva delle follie da ragazzina. Era imprevedibile. Ma negli ultimi tempi era cambiata. Si era chiusa in sé stessa, sembrava spaventata da qualcosa. Si guardava sempre intorno e la notte insisteva che ci chiudessimo a chiave in camera. Ha voluto cambiare casa e venire qui, senza spiegarmi perché.»

«E tu l'hai seguita senza fare domande?»

«L'amavo. "Nella buona e nella cattiva sorte", no? Non è una promessa che si fa alla leggera. Me ne avrebbe parlato quando fosse stata pronta.» Si portò le dita alla tempia. «Non pensavo non ci sarebbe stato il tempo. Si è uccisa lasciandomi tante domande senza risposta.»

«È orribile...» mormorò Alease, senza sapere che altro dire o come confortarlo.

«Ora cerco di andare avanti, ma non è facile.»

«Resterai a Hope Mills?»

«No, torno a casa domani.»

«Stai ancora a Garland?»

«Mi sono trasferito a Fayetteville dopo il matrimonio. È a un quarto d'ora da qui, potremmo vederci di tanto in tanto.»

«Mi piacerebbe» rispose distratta Alease. Era altro quello che le premeva chiedere. «Hai per caso notizie da Garland?»

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