18. DREW HA 13 ANNI

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«Non ne posso più!»

Il grido frustrato di Becca trafisse il timpano del ragazzo, che allontanò il cellulare dall'orecchio. Stava tornando a casa dall'allenamento di calcio, con la sacca che gli ballonzolava contro il fianco. Era una bella domenica di sole, l'allenamento era stato duro ma il coach si era complimentato per i suoi riflessi. Drew era un ottimo portiere, ma avrebbe preferito giocare di più in attacco.

Becca continuò lo sfogo: «Oggi Destinee mi ha presa in giro di fronte a tutte le sue amiche perché non vestivo come una bambinetta in rosa e bianco come loro!»

«Oh-oh. Che le hai fatto?»

«Le ho tagliato i capelli mentre dormiva a bordo piscina. Avresti dovuto sentire come strillava e piangeva.»

Drew scoppiò a ridere. «Quanto sei cattiva, Becky!»

«Destinee è una scema totale, viziata ed egocentrica. Pensa di avere il mondo in mano, e dovresti vedere Rudy e Pearl come la venerano, neanche fosse una principessa! Ci manca solo che spargano petali di rose quando cammina.»

Becca trasudava velenosità e Drew poteva capirla. Da quello che gli aveva raccontato, la figlia della compagna di suo padre era il diavolo in persona. Destinee aveva tredici anni e sua madre Pearl da sette frequentava il padre di Becca. Si erano trasferiti a Durham, in una villetta a un'ora e mezza di treno da Hope Mills, e una volta al mese Becca era costretta ad andare a trovarlo.

Drew non aveva mai conosciuto né Rudy né Pearl né Destinee ma aveva imparato ad odiarli grazie ai racconti veementi della sua amica. Destinee era una ragazzina viziata e vanesia, con più vestiti di quelli che riusciva ad indossare e mille hobby – equitazione, pallavolo, danza classica, tiro con l'arco... Pearl era una donna schizzinosa che non puliva mai nulla, delegando le faccende di casa alla domestica; trattava Becca con insofferenza e si vantava sempre della bravura della figlia di fronte a lei, per farla sentire meschina e inferiore. Rudy era semplicemente uno stronzo alto due metri con i muscoli e la pelata, che le dava buffetti sulle guance ed era sempre imbarazzato con lei perché non sapeva mai come trattarla.

In sintesi, i weekend da Rudy Blake e Pearl Allen erano sempre un tormento per Becca.

«Pensa che Rudy mi ha chiesto se voglio che ci vediamo più spesso, nei prossimi mesi.»

«Come mai?»

«Ma che ne so, gli sarà spuntato l'ormone paterno tutto ad un tratto. Ma io non ci penso neanche. Questa volta la mamma mi ha incastrata per la storia del brutto voto in matematica... mi ha detto "o da papà o punizione", ma la prossima volta preferisco stare senza cellulare piuttosto che sorbirmi un altro weekend come questo. Sai che Destinee ha manomesso la mia branda? Quando mi sono buttata sono cascata per terra, la branda si è piegata su se stessa e io sono rimasta incastrata dentro! Ma poi mi sono vendicata. Le ho messo dei vermi sotto le lenzuola. Pan per focaccia, giusto?»

A Drew venne la ridarella. Becca aveva un modo di raccontare gli aneddoti più divertenti che lo faceva sbellicare. «Giusto!»

Becca sembrava essersi calmata con quello sfogo. La sentì tirare da una sigaretta. Doveva essersi nascosta in qualche angolo. I loro genitori non sapevano che ogni tanto fumavano. «A te come vanno le cose?»

«Una domanda di riserva?»

Becca sbuffò, capendo al volo come stavano le cose. Tra loro era così, si comprendevano senza dare spiegazioni. «Curt è favoloso, non capisco perché non ti piace.»

Era dall'inizio dell'estate che quell'uomo e sua mamma si frequentavano. Una volta Drew li aveva visti baciarsi sotto casa ed era rimasto sconvolto. Fino a quel momento aveva sperato che fossero solo amici, ma poi non c'erano più stati dubbi. Sua mamma usciva insieme a quel serpente schifoso.

L'aveva affrontata appena era entrata in casa. Le aveva urlato contro che era un'egoista e che doveva restare fedele al papà morto da eroe, non uscire con altri uomini, e specialmente non con Curt Harris, perché a lui non piaceva, non gli sarebbe mai piaciuto, era falso e ipocrita e non lo voleva in casa.

Tremava tutto, durante quello sfogo. Sbraitava, si arrossava in viso e piangeva di rabbia. Sua mamma era rimasta raggelata, gli occhi spalancati e la mano ancora sulla maniglia. Drew non l'aveva neanche fatta parlare; era corso in camera e aveva riempito di botte il cuscino, immaginando di colpire la faccia di Harris.

Alease lo aveva chiamato per cena, ma lui non era uscito. Così era stata lei ad andare da lui. Gli aveva detto che Curt era stato il primo uomo ad interessarsi a lei, era gentile e lei gli voleva molto bene, e sperava che anche Drew gli avrebbe voluto bene, perché loro erano gli ometti del suo cuore e avrebbe sofferto da morire se Drew si fosse opposto alla loro unione.

Lui aveva tenuto gli occhi incollati al fumetto di Ironman per tutto il tempo, anche quando la voce di Alease si era incrinata e lei aveva iniziato a piangere. Quando aveva finito di parlare, lui aveva detto solamente: «Stasera non mangio.» Alease si era allontanata singhiozzando.

Non le aveva parlato per giorni; poi, pian piano, se l'era messa via. L'unico effetto che aveva ottenuto era che sua mamma stava molto più attenta a come gestiva la sua love story. Non l'aveva più vista baciare Harris, stava attenta persino a toccarlo in sua presenza. E, contrariamente a quanto previsto da Becca, non avevano ancora parlato di vivere insieme.

Non aveva voglia di affrontare di nuovo l'argomento, anche perché sapeva di non avere l'appoggio di Becca. La cosa lo infastidiva oltre misura. Lui la supportava sempre, si prendeva gioco di suo padre insieme a lei, la consolava quando Heather la metteva in punizione o la sgridava per delle sciocchezze. Ma su Harris lei non intendeva cedere. Le stava simpatico e continuava a dire che era un figo.

«Senti, lasciamo perdere. Ora sono arrivato a casa, devo mettere giù e fare i compiti, che palle.»

«Va bene, ma tieni il telefono sotto mano. Nel caso dovessi commettere un omicidio ho bisogno di un posto dove nascondermi.»

Drew terminò la chiamata ed entrò nell'antico palazzo dove abitava. Si fece a piedi tutte le rampe di scale e aprì la porta. Subito si irrigidì. Sua mamma era seduta sul divano insieme a Harris e rideva. Quando lo vide, si distanziò subito dall'uomo. «Didi! Com'è andato l'allenamento?»

Drew odiava quel nomignolo, lo faceva sentire piccolo, e odiava che sua mamma lo chiamasse in quel modo davanti a Harris. Lui si voltò a salutarlo, con quel suo freddo sorriso da rettile.

«Bene» rispose Drew tra i denti, andando in cucina ad appoggiare la sacca sul tavolo.

«Il coach mi sembra una persona molto in gamba. Quand'è la prossima partita?»

Drew iniziò a tirare fuori i libri dallo zaino. «Boh. Ora devo fare i compiti, potete fare silenzio?»

«Certo, Didi» rispose subito Alease. «Se vuoi Curt può aiutarti con matematica.»

Ci mancava solo quella! «No.»

Sua mamma e Harris iniziarono a parlare a bassa voce, ma dopo uno o due sbuffi da parte di Drew, l'uomo si alzò. «È meglio che vada. La baby-sitter di Marvin mi starà dando per disperso.»

«Certo.» Alease lo accompagnò alla porta. Drew li occhieggiò, stringendo la bocca.

Si salutarono con un bacio sulla guancia, ma anche quello lo infastidì. Alease chiuse la porta e gli rivolse un sorriso. «Hai tanti compiti? Vuoi una mano?»

Drew si rilassò un po'. Il lato positivo di quella relazione era che sua mamma era molto più attenta a lui. Gli aveva persino comprato un cellulare con lo schermo touch per farsi perdonare le scemate che faceva con Harris. Drew non ci vedeva niente di male ad approfittare della sua benevolenza.

«Devo fare la cartina della Carolina del Nord e indicare tutte le città più importanti.»

«Te la faccio io, così tu pensi ad altro. Hai verifiche nei prossimi giorni?»

Drew e sua mamma iniziarono a parlare amichevolmente, come se niente fosse, evitando l'argomento "Curt Harris". Eppure lui era ancora lì, aleggiava come un'ombra su di loro. Non era una formula retorica; si era lasciato dietro la scia disgustosa del suo dopobarba.

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