31. HEATHER HA 47 ANNI

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I tacchi bassi si incastravano nella ghiaia, mentre si faceva strada tra le lapidi consunte dal tempo. Il freddo sole pomeridiano spargeva la sua luce lattiginosa sul cimitero di Hope Mills, dove Heather si era diretta subito dopo il funerale di Leslie. Era stata una commemorazione tristissima, gente che piangeva senza freni, sguardi vacui e ancora increduli, mani nervose che tamponavano occhi umidi. Heather aveva osservato a lungo Pete, il vedovo. Era esattamente il tipo di Leslie; affascinante, non troppo alto, bel fisico. Le erano sempre piaciuti i mori con gli occhi chiari.

La fotografia che Pete aveva deciso di mettere sulla lapide era fresca di qualche mese, un selfie scherzoso che Leslie si era scattata quando ancora dovevano addensarsi le nubi oscure che l'avevano portata in quella tomba. Sorrideva felice e spensierata, bellissima e giovanile, truccata alla perfezione come al suo solito. Quella era la Leslie che Heather ricordava, non il fantasma sciupato e sconvolto con cui aveva bevuto un caffè un mese prima.

Aveva fatto le sue condoglianze a Pete. Portavano entrambi gli occhiali, anche se il sole andava e veniva, per nascondere l'emozione dei loro volti. Pete era stato garbato ma distaccato. Non aveva realizzato che stava parlando con la stessa donna che aveva telefonato pochi minuti dopo che lui aveva ritrovato il corpo di Leslie in una vasca di sangue. Dopo la scoperta, Heather era ammutolita e Pete non aveva avuto la pazienza necessaria di chiederle cosa volesse e aveva riattaccato quasi subito.

Aveva incontrato anche i genitori di Leslie, arrivati dall'Irlanda proprio per quella triste occasione. Erano incredibilmente invecchiati rispetto a tre lustri prima, e devastati dal dolore. Si ricordavano di lei e piansero liberamente in sua presenza. Leslie era figlia unica. Se ne era andata dall'Irlanda qualche anno dopo Heather e glielo aveva anche comunicato ma lei non l'aveva mai voluta incontrare e ora era troppo tardi per recuperare il tempo perduto.

Aveva cercato di parlare con Pete, in disparte. Voleva chiedergli perché sua moglie si fosse tolta la vita, se gli era parsa turbata, se ci fosse un uomo che la infastidiva. Ma molti volevano parlare col vedovo e lei era rimasta indietro, troppo timorosa delle risposte che poteva ricevere per farsi strada tra i corpi accalcati. Così era salita in macchina ed era corsa via, diretta a un altro cimitero, a un'altra tomba.

La trovò e si fermò ritta davanti alla lapide.

"Zach Lupini. Padre amatissimo. Ora puoi stare con mamma."

Ricordava quando aveva visto per la prima volta l'iscrizione. L'aveva commossa al punto che la figlia di Lupini l'aveva abbracciata, piangendo sulla sua spalla. L'aveva persino ringraziata di averla accompagnata al funerale e di esserle stata accanto. E Heather si era sentita meschina, colpevole, si era fatta schifo mentre le dava delle pacche imbarazzate sulle spalle e i suoi occhi correvano di qua e di là come biglie impazzite per non soffermarsi sui visi straziati che la circondavano. Dolore di cui lei sola era responsabile.

«È stata carina, vero? Mia figlia.»

Heather sobbalzò all'udire quella voce gentile e velenosa al tempo stesso, ma non si voltò. Fu l'uomo ad arrivarle accanto.

Fissarono entrambi la tomba in silenzio. Non si udiva neppure lo sbattere d'ali di un uccello, e non c'erano altri visitatori a quell'ora.

La presenza dell'uomo era gelida al suo fianco. Heather aveva davvero la sensazione di essere in compagnia di un fantasma.

«Mi stai seguendo?» domandò con voce rotta, cercando di non cedere alla paura. Stringeva con entrambe le mani la borsetta; non aveva altre armi da usare all'occorrenza.

«Certo.» Il fiato dell'uomo formò una nuvoletta di vapore davanti alle sue labbra scure.

«Ed è un caso che arrivi sempre quando sono sola?»

«L'hai notato?»

Finalmente si girò a fissarlo. «Sei davvero Zach Lupini?»

«Tu cosa dici?»

«Che non è possibile.»

Lui sogghignò e le labbra secche quasi si lacerarono in minuscole crepe. «Vuoi dirmi che non hai mai sentito di qualcuno che inscena la propria morte per rifarsi una vita?»

«È così che è andata?»

«Diciamo che ho sfruttato l'occasione. Dopo che tu e le tue amiche ve ne siete andate è arrivata un'altra auto. Quell'uomo fortunatamente si è fermato e mi ha portato in ospedale. Ha parcheggiato e si è allontanato per chiedere una barella. Io mi sono messo alla guida e sono andato via. Ho viaggiato tutta la notte e tutto il giorno. Solo quando ero abbastanza lontano sono andato in ospedale, ma non prima di avere buttato cellulare e carta d'identità. Finsi di aver perso la memoria, e i dottori mi credettero. Diventai il Signor Nessuno, fino a quando non mi fecero avere un'identità nuova.» L'uomo proseguì rapido, vedendo che Heather stava per parlare: «Il mio nuovo nome non ti deve interessare. Per te sarò sempre l'uomo che hai quasi ammazzato e cui non hai prestato soccorso per vigliaccheria.»

Lei si sentì bruciare le guance. Nonostante tutto, nonostante la morte di Leslie e delle gemelle, nonostante le persecuzioni di quell'uomo, la vergogna tornò prepotente. E si chiese se in fin dei conti avesse il diritto di arrabbiarsi col mostro che la stava torturando. Lei lo aveva quasi ucciso, lo aveva abbandonato, aveva fatto l'ipocrita con sua figlia fingendo di sostenerla. Una piccola parte di sé sentiva che si meritava tutto questo. Il giorno del giudizio era arrivato.

«Perché l'hai fatto?» gli chiese, ignorando le sue accuse rabbiose. «Avevi una famiglia.»

«Avevo una figlia che si era sposata da tempo. Abitavo da solo in una grande casa vuota. E avevo numerosi debiti. Sparire era la soluzione ideale.»

«E perché sei tornato? Rischi che ti riconoscano.»

«Avevo delle questioni in sospeso.» L'uomo non le toglieva gli occhi di dosso. «Di quattro assassine, solo tu sei rimasta.»

In un impeto di orgoglio e fierezza, Heather drizzò le spalle massicce e sollevò il mento. «Non mi liquiderai come hai fatto con le altre. Sono di una tempra diversa.»

«Davvero?» la irrise lui.

«Non mi farai impazzire.»

L'uomo le si accostò, sussurrandole all'orecchio: «Non capisci? Lo sei già.»

«Signora è tutto a posto?»

Heather si girò. L'uomo che diceva di essere Lupini era scomparso. Al suo posto c'era una signora anziana che teneva in mano un annaffiatoio verde e la fissava sconcertata. La rossa si guardò intorno più e più volte. Ad un certo punto le parve di vedere Lupini allontanarsi verso il cancello del cimitero, ma non ci avrebbe messo la mano sul fuoco.

«Sto bene» rispose secca alla vecchia.

«Sicura? Con chi stava parlando?»

Heather la guardò, credendo la stesse prendendo in giro. Davvero non aveva visto Lupini accanto a lei? Impallidì e arrossì, mentre la mente si arrovellava fumando. Quindi indicò con un gesto duro la tomba.

Le labbra della vecchia formarono una O di improvvisa consapevolezza, quindi sorrise. «Mi dispiace, la lascio al suo cordoglio. Scusi ancora.»

E se ne andò, la schiena curva e i passetti corti. Heather la osservò finché non sparì dietro l'angolo di un mausoleo. Quindi, dopo aver rivolto un'occhiata sbieca alla tomba maledetta, si diresse a larghi passi verso l'uscita.

Entrò in auto e accese il riscaldamento. Si gelava là fuori. Si soffiò sulle mani. Avrebbe dovuto comprarsi dei guanti nuovi.

Un luccichio attirò il suo sguardo oltre il parabrezza. E di nuovo impietrì. Zach Lupini si era tolto gli occhiali per intercettare i raggi del pallido sole e indirizzarli verso di lei.

Un lento sogghigno gli tirò la bocca, e le parve di vedere sgorgare del sangue dalle crepe delle labbra secche.

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