13. Cambiamenti

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Decisa, luminosa e fredda. Questo era diventata Megan Cat, col tempo. A testa alta ne aveva superate tante dopo le medie, dopo Rubini e il resto della sua combriccola. Brillava di luce propria, ormai. Perché era diventata solare per se stessa. Non per piacere a qualcuno. Era forse per questo che i suoi modi erano diventati scontrosi. Il sole lo teneva rinchiuso dentro. Tra il cuore e la gabbia toracica. Non faceva uscire quei raggi e soprattutto non li regalava a uno come Cameron. Non se li meritava! Si era raffreddato il carattere, non parlava mai con nessuno. Non lo aveva mai fatto e adesso, sembrava che con Rubini si sfogasse, tirando fuori finalmente tutto il passato che le aveva schiacciato il petto. Come se un treno l'avesse attraversata, colpita, uccisa.
"Non vengo a letto con te, Cameron" la voce flebile, sotto i baci di quell'uomo dalla personalità oscura, che ora le lasciava scie umide lungo il collo. Una strada breve che l'avrebbe condotto a una terra proibita per lui, se lei non lo avesse fermato.
"Mollami uno schiaffo allora, fermami".
Lo spintonò come fece prima e si divincolò. Raggiunse la porta con la testa che girava e senza neanche salutarsi, uscì di casa sua, dopo un lungo attimo di sguardi muti.

Al lavoro, il giorno dopo, l'atmosfera era diversa. In quell'ufficio ormai vedeva solo lui. Poteva essere presente, assente o distante, ma non era più trasparente. Qualcosa, tra loro, era cambiata, senza neppure averlo più incrociato o sentito. Colpa di quel bacio? Di quella sfuriata a casa di lui? Dei sentimenti contrastanti che non facevano altro che emergere sempre di più per entrambi? O tutto quanto? Precisamente, Megan non lo sapeva. Quella mattina però, si era imposta di concentrarsi e non pensare minimamente a lui. No, non c'era a lavoro, aveva bevuto troppo dopo che lei se ne era andata e oggi non si reggeva in piedi. Aveva esagerato più del solito. Ma perché? Era stata lei, la causa? A Jacob, lei, aveva però comunicato di essersi preso una bronchite e che avrebbe fatto in modo di lavorare per due in modo da non arretrarsi con quel dannato progetto di cui sapeva ben poco. Dovevano creare una collezione e ancora cosa avevano fatto? Le sedie! E basta! Avevano un solo fottuto anno in totale ed erano già passati i primi tre mesi! Stress. Questo Megan non lo aveva programmato, all'inizio, preda all'euforia. Almeno sapessero su cosa potersi basare! Si, okay, da una parte era positivo avere carta bianca, ma dall'altra.. a cosa sarebbero serviti quei pezzi facenti parti di un'edizione unica e limitata? Se almeno sapessero cosa dover arredare, probabilmente sarebbe più facile creare una linea che si armonizzasse con il posto. E tutto quello che sapevano era solo che dovevano creare una collezione per un progetto annuale. E se avessero vinto? Cosa ne avrebbero fatto delle loro creazioni? Solo alla fine del progetto avrebbero saputo tutti i dettagli e fino a quel momento, il nulla. Un lavoro al buio! Assurdo! Come si divertiva la gente! Non aveva proprio niente di più interessante? Ecco come complicare la vita professionale di dipendenti principianti. Eppure era per questo che Megan ci teneva tanto. Perché voleva diventare qualcosa di più. Qualcuno. Per il suo Stato e per quell'azienda.
Il pomeriggio le portò consiglio e sorrideva intenta a disegnare i tappeti. Aveva pensato a un tema provvisorio finché Cameron non l'avesse confermato. L'aveva chiamato 'campo in tempesta', perché si stava ispirando a un campo di papaveri, - ciò richiedeva uno stile floreale e tanto rosso - e ai tuoni. Il tutto racchiuso nelle stanze che avrebbero ospitato le loro opere, il giorno del premio.
Un campo e un temporale, disposti nelle mura di un luogo sconosciuto fino alla fine. Lei amava la pioggia. E anche i papaveri. Come aveva potuto non arrivarci prima? Era la sua essenza e se Cam avesse accettato, avrebbe conosciuto l'altra 'lei'. La sua nuova personalità. Avrebbe scavato nella sua anima.
E allora? Un gelo di insicurezze la fece rabbrividire.

Sms, 18:40

[Cazzo mamma! Per favore, ho detto!]

Megan stava raccogliendo le cose, pronta per andare via e lasciarsi alle spalle quella lunga giornata faticosa. Era stata produttiva almeno e aveva fatto molto. Aveva disegnato una cucina spaziosa con un'isola centrale, bianca e lucida come porcellana, con forno a ventola integrato e con degli swarovski - come impugnature per i cassetti -, neri come i pistilli dei papaveri; aveva creato due lampade da lettura con un design moderno, gli steli a forma di tuoni per richiamare le sedie e le cappe di un tessuto rosso a fiori. Aveva progettato anche un tavolo, bianco lucido come la cucina, due lavabo sarebbero stati inseriti sull'isola e sarebbe stata anche abbastanza grande da fungere come bancone bar per la colazione, ad esempio. Meg ci stava lavorando come se stesse progettando casa sua e poi ci si sarebbe potuta trasferire! A destra dell'isola, aveva pensato che sarebbe stata bene una parete tinteggiata di un verde acceso, a cui sarebbero state annesse delle mensole, - al posto della classica dispensa chiusa con le ante -.

Sms, 18:57

[É una fortuna non essere tua madre!]

Cameron rispose subito

[Ho sbagliato destinatario, cazzo!]

[Calmati Rubini! Che succede?]

19:04

[Mia madre non é in casa, si rifiuta di assentarsi due minuti dalla SUA boutique in cui lavora, per andarmi a prendere degli analgesici in farmacia! Mi scoppia la testa e penso di avere la febbre, non riesco a vedere molto bene]

[Interessante, potrebbe essere un bel tema di italiano, sai? Scherzi a parte, arrivo! Aspettami!]

Salì sul taxi, era da una settimana che non aveva la macchina perché la divideva con la sorella, e fece accostare l'autista vicino al marciapiede della farmacia più vicina e meno affollata. Prese ciò che serviva, incluso un termometro in caso non lo avesse a portata di mano, e una scatola di oki, delle gocce per il mal di testa e anche per la gola e corse a casa sua. Barcollante, Cameron le aprì il portone, ma si fermò premendo la testa contro il muro del salotto, colto da un capogiro più forte e una martellata più violenta alle tempie. Megan si accorse delle sue vertigini e gli afferrò le spalle, appena si rese conto che stava per crollare a terra.
"Gesù, Cam!"
"Cam? Ha-hai detto Cam"
"Shh, non parlare" gli sussurrò con voce delicata buttandolo sul letto.
"Scotti, cavolo! Ho preso il termometro" disse frugando nel sacchetto. Scartò l'involucro di cartoncino e lesse le istruzioni. Gli misurò la temperatura che schizzava a 39,04, tra la sua pelle di seta bollente e l'oggetto di plastica.

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