41. Presentimenti

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Il cortile della scuola non era molto grande, ma per Meg lo era anche sufficientemente, perché non riusciva mai a trovare un vero nascondiglio per sfuggire alle occhiate e alle frecciate offensive che gli venivano tirate.
"Ehi Cat!" La chiamò Rubini. "Te ne stai sempre seduta lì con quel panino!" Rise.
"Con chi dovrei stare? O che dovrei fare?"
"Calmati intanto, eh! Che c'è, hai il ciclo per caso?"
Non fece in tempo neanche a fulminarlo che Cameron già era partito in quinta.
"Ragazzi, la Cat ha gli ormoni alle stelle oggi!".

La sua risata le fece venire da piangere e dovette chiudersi nel bagno, stringendosi in quelle umiliazioni.

Con le lacrime sul volto e il fiato corto, Meg si svegliò da quell'incubo.
Aveva fatto di tutto per dimenticarsi di lui, che dopo la litigata ad Atlantic Beach, dovette tornare alle vecchie abitudini, perché o l'avrebbe amato per sempre o l'avrebbe odiato. Non poteva rovinarsi la vita, così aveva scelto la seconda. Era tornata a ricordare tutto quello che le aveva fatto passare, ma gli incubi non poteva sopportarli. Doveva reagire e ribellarsi.
Forse avrebbe dovuto continuare ad amarlo. E forse sarebbe stato più semplice.
Si addormentò due ore dopo con il cuore ancora in gola.
Che poteva fare?
Si chiese, rigirandosi nelle lenzuola.

Il mattino seguente Megan, inviò il solito 'buongiorno' su whatsapp a Kurtney, era un'abitudine che si erano prese quando Meg era dovuta ritornare a New York.

Ripose il cellulare in borsa e fermò un taxi che la condusse in quindici minuti all'Harper Agency 2000.

Fu una giornata molto carica, forse per il caldo, oppure per gli otto articoli che le erano stati richiesti. O ancora, per entrambe le cose insieme.

Un momento... notò.

Il numero otto la perseguitava spesso...

L'otto dicembre di tre anni fa, aveva ritrovato Cameron per il progetto.

Otto come anche il tavolo che aveva prenotato Harper per quel pranzo.

Otto come il numero che gli era stato assegnato il giorno della mostra.

Otto come il numero vincente, della mostra.

Otto come il numero di mesi che erano passati dall'ultima volta che loro due si erano lasciati.

E in fine, otto, come gli articoli che avrebbe dovuto scrivere quel giorno.

Quel numero li aveva visti insieme ogni volta.

Che sarebbe successo quel mercoledì?

Era un segno?

Cam, per caso, si trovava a New York?

***

"Jacob, preferisco uscire per oggi, ho deciso di mangiare un boccone fuori"

"quale stranezza" rise. "La nostra Megan che esce nella pausa pranzo".

Anche Meg sorrise e l'uomo dietro la scrivania aggiunse "non lasci mai il tuo ufficio"

"be, oggi mi sembra diverso... ci vediamo tra poco"

"vada, vada, buon pranzo" la salutò il signor Harper, sventolando una mano verso la porta e riportando l'attenzione su alcuni documenti che stringeva nella sinistra.

Già. Era strano che Meg uscisse. Perfino Jacob Harper se n'era accorto. Che voleva fare, poi? Sperava per caso di rivedere Rubini?

Inutile negare.

Quel numero poteva essere stata anche una coincidenza in tutte le occasioni, tuttavia lei, non se l'era sentita di non dargli peso.

Con i piedi gonfi strinti nelle decolleté cipria, si fermò con gli occhi che guizzavano inarrestabilmente ovunque. Non aveva trovato nessun Cameron; erano passati quindici minuti della sua pausa, trascorsi a correre da un angolo ad un altro, senza ottenere risultati. Neanche un indizio. Si maledisse per aver scelto ancora i tacchi, nelle sue condizioni, avrebbe potuto evitarli. Aveva le guance accalorate e rosse, inoltre aveva bisogno di una sedia; ora, subito.

Per tornare in ufficio però, si sarebbe fatta accompagnare da un taxi.

Si girò e vide che era arrivata sotto a un ristornante.

Ma...

Si trattava della cucina messicana!

Come aveva fatto a non accorgersi che si trovava praticamente nella stessa via di quel lontano otto dicembre?

Solo che molte cose, da quel giorno ad ora, erano decisamente cambiate.

Niente la fermò però. Spinse la porta di vetro e si intrufolò in quell'ambiente mantenuto sempre caldo e nel medesimo stile in cui l'aveva osservato quella volta. Era rimasto tutto uguale, come se quei tre anni, d'improvviso non esistessero più.

"Salve signorina, ha prenotato un tav..." smise di ascoltare il cameriere e non gli rispose nemmeno.

"Signorina... signorina?".

Il ragazzo le posò una mano sulla spalla e Megan lo guardò con una faccia cadaverica.

"Si sente male? Ha tutto l'aspetto di uno svenimento... le tremano le gambe?"

"no".

Finalmente riuscì a sussurrare, ma non sapeva nemmeno se il giovane avesse capito o sentito la sua voce.

La conferma che aspettava, era lì.

Il numero otto era il loro segno.

Cameron Rubini, era seduto con un cliente, quattro tavoli più avanti all'ingresso, per questo, ancora intento nel suo lavoro, non l'aveva vista.

Ma era certa che non se lo stesse sognando.

No. Non lo stava neanche confondendo.

Come poteva confondere il nero dei suoi capelli?

Il rosso della sua bocca?

Il modo di stare seduto?

Cameron Rubini era tornato.

Era lui.

***

Meg bevve l'acqua che il ragazzo le aveva appena portato, quindi lo ringraziò e si scusò trovando la voce.

"Mi scusi, avevo avuto un leggero mancamento, sa, sicuramente lo sbalzo di temperatura" si sforzò di sorridere. "Spero di non averla spaventata."

"Si figuri, ci mancherebbe"

"sa per caso se quell'uomo lì è qui da molto? È un amico..." si affrettò a chiedergli, prima di perdere altro tempo.

"Si, da un po'. Vuole che gli faccia richiesta di una visita?"

"grazie, si, se è possibile. Ma preferirei che si liberasse"

"certo, vado immediatamente a riferire. Devo lasciare un nominativo?"

"no. Dica soltanto che c'è un'amica che lo aspetta al piano bar"

"perfetto".

Per fortuna, che per curiosità di sapere chi lo cercasse, Cam liquidò il suo ospite in poco tempo e adesso lui era di fronte a lei. Impietriti, si fissavano in silenzio, senza dar retta agli sguardi ambigui che avevano attirato.

"Ti trovo bene" iniziò Cameron.

"Anche tu stai bene, mi sembra".

Cameron annuì mentre un'ombra scura gli velò le iridi. Serrò la mascella e Meg riprese.

"Come mai a New York?"

"Pendolare per lavoro".

"Ah, capisco... comunque io vorrei mangiare... mi faresti compagnia?"

"volentieri... avremmo un bel po' da dirci...". Le disse alludendo al suo ventre evidentemente sporgente.


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