18. Esplosione

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La collezione "Tempesta ammaliante", come avevano deciso di chiamarla, era proceduta a gonfie vele. Seppure Cameron all'inizio non dimostrasse convinzione, ultimando i dettagli, aveva cambiato idea. L'arredamento, avrebbe conferito alle stanze, un'aria da 'giardino', con tutto quel rosso e quel verde dei papaveri che spiccavano sul design moderno, bianco e nero. I mesi erano passati con una lentezza esasperante, e fare finta di niente ed evitarsi dopo il lavoro, era stato un impegno duro per entrambi da rispettare, tuttavia, la tensione li aveva aiutati a tenersi lontano. Parlavano ormai pochissimo e per questioni inerenti al progetto. Niente più di personale. Niente di intimo. Era tornato tutto alla normalità.

"Alle 17:00, Castello Belvedere. Portate tutte le vostre opere e... che la fortuna sia con noi, ragazzi!". Finalmente, dopo un lungo, interminabile anno, fatto di ostacoli e soddisfazioni, odio, amicizia e nuovi passi indietro, Jacob aveva rifornito tutti i dettagli sul posto e l'orario riguardanti l'esposizione. "Ci credi, Cameron? É il castello, il posto da arredare! Ma come facciamo adesso? Abbiamo creato una collezione modernissima! Non ce la faremo mai! Avremmo dovuto pensare a qualcosa di antico, magari usando materiali unici di valore, o al massimo ci saremmo potuti basare su uno stile contemporaneo! Ma il moderno, no!" Megan correva da un punto all'altro dell'ufficio, sbraitando fuori di sé, d'un tratto sprezzante sul loro lavoro. "Calmati Meg! Lo sapevo che arrivati a questo giorno, ci saremmo sentiti insicuri". Dopo tanto tempo, il suo semplice toccarle le spalle e fissarla  negli occhi, la fece sentire protetta. Di nuovo a casa. Come se per secoli fosse stata una dispersa, su un'isola sconosciuta e adesso finalmente era stata ritrovata. Si scostò, spaventata da quei pensieri che aveva accuratamente sepolto e si diresse oltre il separé, allestito temporaneamente. Non sarebbero potuti tornare a casa a cambiarsi, quindi si erano fatta una doccia al mattino e portato in azienda gli abiti eleganti per la mostra. Si nascose lì dietro e si infilò un abitino con la gonna a ruota, glicine, senza spalline e ornato di paillettes sulla parte superiore.
"Accidenti!" Escalmò infastidita.
"Hai bisogno d'aiuto?".
Non fece in tempo a negare, che Cameron entrò.
La trovò trafficare con la lampo dietro la schiena, chiusa per metà.
Megan lo guardò con occhi sgranati e le labbra socchiuse, facendo calare un silenzio che li trasportò altrove, fuori di lì. A passi lenti, Cameron, si avvicino. Le sfiorò il pezzo di pelle rimasto nudo e lei venne percorsa dai brividi. Cameron non lo avrebbe fatto se lei non avesse reagito. Avrebbe resistito. Ma in quell'istante le sue mani si incollarono sulla schiena di Meg come se sopra ci fosse colla. Baci voluttuosi e una lingua danzante, le coprirono il collo e le spalle, lasciandole un percorso umido come a volerle stampare la sua mappa addosso. La afferrò per i fianchi e la girò verso di sé, la spinse contro il muro, intrecciandosi sul pavimento. La foga era irrefrenabile e il desiderio, un fuoco pronto a esplodere.
"Cam"
Mugulò deglutendo, con voce flebile. Le mani di Megan erano dappertutto, come quelle di lui. Le dita si incastravano perfettamente nei capelli di uno e dell'altra, ma l'attimo seguente stavano già esplorando altre parti del corpo. Cameron fece per abbassarle il corpetto e fu lì che Megan riprese coscienza della situazione. Lo spinse e lui scivolò all'indietro. Megan scappò da quel buco claustrofobico che altro non era se non un adattamento, ma a ruota lui la seguì, afferrandolola e voltandola verso di sé. Occhi lucidi e chiari, il contorno labbra macchiato di gloss e un paio di orecchini lunghi argentati, pendevano per i suoi movimenti convulsi; quell'immagine gli fece provare qualcosa. Sicuramente un dolore al petto. Sicuramente un sentimento indefinito.
"Meg, io..."
"No Cam, ti prego, non continuare. Esco con qualcuno...".
Per una volta Megan, si era difesa con una maledetta bugia.

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