15. Spogliarsi

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Si staccarono da un secondo, intenso e strano bacio.
Perché avevano cominciato a baciarsi? Significava qualcosa? Provavano qualcosa?
Queste incertezze aleggiavano su entrambi. Il cuore di Meg era una musica di battiti ormai indistinti per la velocità irregolare che avevano ingranato. Cameron la guardò un breve istante quando si staccò, poi si concentrò sulle sue labbra, disegnandone il contorno con l'indice. Lei, stupidamente imbambolata. Uno strillio li raggiunse dalla cucina, scuotendoli con un sobbalzo. "Sono.. sono pronti gli hamburger!" Megan ebbe la scusa più plausibile del mondo per scappare da quella situazione è fiondarsi nell'altra stanza. Spuntò con il vassoio riempito cibo e una lattina di birra, grande. Affondò nel materasso, incrociando le gambe e diede un morso al panino. Cameron, al contrario, cominciò dalla birra, dopo averla stappata. Finsero indifferenza e dipinsero l'aria di silenzi riempiti solo dal volume proveniente dalle casse del televisore. Per Megan era difficile tenere a bada l'agitazione cui era preda e nascondere la sua distrazione, quando accadeva. Con la coda dell'occhio aveva studiato più volte la camera di Cam. Chi era davvero quel ragazzo? Qual era la sua personalità? Le pareti erano color panna e delle tende bordeaux e lunghe fino a terra coprivano una portafinestra sulla sinistra infondo al muro. Il letto a due piazze, era disposto al centro, in modo da poter incontrare direttamente una TV a schermo piatto, appesa accanto all'armadio. Infondo e alla destra del letto, c'era una scrivania, una pila di CD sulla mensola soprastante e, infine, la porta. Era... così.. spoglia, triste, semplice.. vuota? Non un quadro soltanto, né un poster, neanche una foto di lui da piccolo, o della sua famiglia. Poi il suo sguardo catturò una cornice sulla scrivania che non riusciva a vedere distintamente nella penombra, ma grazie alle luci dello schermo, che ogni tanto schizzavano su di essa come vernice colorata, ebbe modo di distinguere un bambino sorridente, con il volto girato dietro e gli occhi alti in direzione di un uomo - anche lui molto felice - con i baffi sopra la bocca e una somiglianza incredibile con quella del ragazzino. Potevano essere Cameron e suo padre. "Oddio, questo é un inizio grandioso!" Sorrise Cameron trascorso l'incipit mozzafiato. Le regole dello spettacolo si dimostrarono da subito esplicite nel far capire quali sarebbero stati gli ingredienti che avrebbe offerto. Immagini distorte, esplosioni violente, dettagli disturbanti, ritmo delirante, scene forsennate, primi piani per simulare il punto di vista del personaggio principale, il professor Robert Langdon, che in questa storia, si ritrovava privo di memoria e bloccato in un letto d'ospedale di Firenze per aver subìto un violento trauma cranico. Non bastava la sua di ansia, anche quella visione doveva contribuire ad aumentargliene. Non era una passeggiata, essere la 'prigioniera' di un uomo sexy e dannato!
"Ehi Meg, ma non hai ancora finito di mangiare?" Finalmente la degnò di una nuova attenzione, staccandosi momentaneamente dalle scene magnetiche. Però era vero: quel film era intrigante. 'No, be sai com'è Cameron, mi ero persa a pensare a qualsiasi cosa, che mi ero dimenticata del mio hamburger con le patatine!' "E-ehm io.. mi ero lasciata prendere sin troppo dal film" rise "già.. ehi... grazie.. per tutto" "smettila di essere gentile e di guardarmi con aria seria! Non ti appartengono e mi fanno sentire addirittura a disagio!" Si misero a ridere insieme e lui la spinse scherzosamente dall'altro lato. "Vuoi?" Le chiese poi, sollevando la lattina argentata.

Due ore dopo, la febbre era scomparsa, grazie ai medicinali e ai bagnoli, e l'umore di Cam si era parecchio rifatto. "Vado a farmi una doccia" disse incomprensibilmente nello sbadiglio che faceva a botte con le parole. "Okay, intanto io sciacquo le stoviglie". Avevano appena terminato di vedere il film, soddisfatti dal finale che era stato inaspettato e originale.
Cameron non era ancora tornato in camera quando lei si stese sul letto.
"Finito" disse facendo la sua comparsa quasi completamente nudo, se non fosse per quello schifoso, inutile, sottile, pezzo di stoffa intorno ai fianchi. "Ow ehm, perfetto".
Non balbettare come una ridicola quindicenne con gli ormoni alle stelle, Megan! E ricordatelo, che é il tuo peggior nemico, questo!
"Bene" ripeté più composta, come a voler essere più convincente e a posto. "Se hai bisogno di una doccia, prego" le indicò la porta spalancata, con il braccio.
"Mi servirebbe, dopo il lavoro e il turno come dottoressa personale del Signor Rubini". Mentre gli passava accanto, le scompigliò i capelli e con tono fintamente infastidito si lamentò con un "ehi!".

Si era infilata l'intimo cipria di pizzo con un nastro nero che ornava i bordi dei due pezzi e messo l'accappatoio di sopra, per tornare da lui: le serviva qualcosa da indossare per la notte. "Cam, mi presti una t-shirt, qualcosa?" Gli chiese sulla soglia. I capelli ancora bagnati, il viso struccato, naturale e fresco. "Per me potresti rimanere anche così"
"Faccio sul serio, Rubini"
"Senti, non mi scandalizzo! Voglio dire.."
"Lo so cosa vuoi dire e si, so che ne hai viste di tutte i colori, ma io non sono qui perché mi hai chiesto di restare. Avevi bisogno del mio aiuto e poi fuori nevica così tanto che ormai é rimasto poco che si distingua ancora bene. Ah, a proposito! Io dormo a terra!" Si appoggiò contro la porta e incrociò le braccia. Invece che dirigersi verso la cabina armadio e prenderle ciò che le serviva, lui la raggiunse e la prese in braccio a mo' di sposa. "Sei impazzito? Mettimi giù! Stronzo! Che vuoi fare!? Mollami ho detto!" Senza prestarle la minima considerazione, aprì le ante e la mise a sedere su una delle mensole all'interno della cabina, e quando lo sguardo serio guizzò nelle pozze  smeraldo di lei, Megan capì che era meglio stare zitta ora. Fece scorrere le dita tra i nodi delle ciocche gocciolanti, spostandogliele dietro per permettere agli occhi di lambire il viso di lei. Era sempre attenta a nasconderlo. E glielo aveva insegnato lui, a farlo.
Bella merda che sei sempre stato, Cameron.
Le labbra perfettamente a cuore, annerite dal buio.
Gli occhi luccicanti per le lacrime trattenute.
L'espressione tesa, racchiusa nella sua rigidità.
"A-alla fine ho scelto il tema per il progetto"cercò di prendere tempo lei.
"Non importa adesso"
Due voci, un fruscio di sussurri.
"Che vuoi.. fare?" Gli domandò attenta quando le mani di Cam spostarono via dalle sue spalle, la stoffa bianca inumidita. Quando l'accapatoio a tradimento, si aprì, gli rivelò le sue forme delicate e la biancheria posseduta con cura. Cameron deglutì pesantemente, che lei lo notò.
"Non sono cambiata neanche un po', vero? Mi hai sempre vista sotto strati di indumenti, ma forse ti avevo deluso meno"
"Gesù Meg, sta zitta".
Appoggiò la sua fronte su quella di Megan ed entrambi chiusero gli occhi. Poi lei, anche stavolta, spezzò quel silenzio un po' incantato.
"Vuoi approfittarti di me? Oppure prendermi in giro dopo tanti anni, ancora?"
"No, cazzo! Voglio solo provare a restituirti ciò che ti ho tolto! Dannazione, Megan, ti ho rovinato la vita e io? Ci ho sempre riso su, ti ho riso addosso". Il suo tono era duro, lo sguardo arrabbiato. Nelle sue iridi una valle di nero. Senza ombre minacciose sul volto, Cameron continuò "tu sei tutto questo. Sei.. tante cose. Infinita e piccola, forte e vulnerabile.. bellissima. Sei come un cristallo che tutti temono di toccare per paura che ti possano fratumare. Quanti pezzi di te ho rotto, piccola?"
Questa volta Megan capì che il suo sguardo cercava una risposta. Mai nessuno le aveva attribuito quel nomignolo, e non le dispiaceva visto che detestava quella parte di vocabolario. Eppure in quel momento..
Gli rispose con un silenzio parlante, convinta per qualche ragione che lui avrebbe capito benissimo.
Con le dita comiciò a indicargli la testa - perché le aveva rubato qualsiasi opinione positiva potesse farsi di se stessa -, poi toccò agli occhi - per tutte le lacrime che le sue critiche sprezzanti le avevano fatto versare -, scese sulla bocca - per indicare il silenzio che gli aveva dato il lusso di prendersi, tutte le volte che aveva taciuto, anziché ribellarsi -, si toccò il petto - per confermare che si, il suo cuore era diventato un pezzo di ghiaccio, insanguinato e ricucito -. Scivolò al centro dello stomaco - per tutte le morse di rabbia che le avevano chiuso lo stomaco e tolto l'appetito, facendole diminuire la poca carne che restava delle sue forme sempre più inesistenti -. Infine si liberò completamente dell'accappatoio e gli indicò le gambe snelle - che lui giudicava prive di muscoli  e lunghezza -.
Erano solo loro due, mezzi vestiti, dentro un cubo che risucchiava gran parte dell'aria e dei loro respiri che gareggiavano per l'affanno.
Erano solo loro due, uno con le proprie colpe e l'altra con la propria fragilità maledettamente a nudo. Erano solo loro due, in un futuro che si mischiava minacciosamente con il passato.
Erano solo due anime che ne avevano passate troppe, eppure erano pronte a sbarazzarsi degli errori, delle cazzate, dai se e dai ma, dalle occasioni mancate e dagli attimi perduti.
Erano solo loro, e si stavano spogliando della falsità, perché non erano persone ottuse, lui non lo era. Non era egoista. E glielo stava urlando mostrandole la verità.
"Niente Meg. Non voglio farti niente. Desidero solo disegnarti da capo. Non per come ti facevo credere che fossi, ma per come sei. Per quanto sei. Non sei sbagliata tu, sono io che mi sono comportato ogni giorno da coglione".

Nero ProfondoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora