8.

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« To moendo?» domando, mentre il dottor Darcy tiene la mia lingua abbassata per controllarmi la gola.

Lo vedo sorridere leggermente, prima che ritragga il suo strumento del male e mi guardi negli occhi; i suoi sono della stessa sfumatura di verde di quelli di suo figlio. « La ricerca sta facendo progressi, Rose, troveranno una cura.» annuncia prendendomi in giro.

Sospiro, dopodiché alzo gli occhi al cielo. « Abbiamo fatto tutti i controlli possibili, ora puó chiamare mia nonna per rassicurarla?»

« Lo faró.» afferma, dandomi non poco sollievo: è la nonna l'unico motivo per cui sono nello studio del Dottor Darcy. « Ma penso che anche lei sapesse benissimo che il problema non è qua fuori.» continua, posandomi una mano sulla spalla con fare paternalistico. « È qua dentro, Rose.» conclude poi, indicando la mia testa.

« Forse non c'è davvero un problema.» ribatto scettica.

Il dottor Darcy scuote la testa, prima di allontanarsi di qualche passo e di guardarmi dritta in faccia, con le braccia incrociate e le palpebre leggermente socchiuse. « Hortense ha detto che non dormi la notte.»

« Questo non è vero. Io dormo... a volte.»

« "A volte" non è sufficiente.» conclude deciso. « Cosa sta succedendo?» domanda poi in modo diretto, tant'è che lo guardo confusa, perché fa tante domande? Non è uno psicologo. « So che non vuoi dirmelo per non far preoccupare tua nonna e Simon, ma c'è il segreto professionale: terrò la bocca chiusa.» mi rassicura, centrando in pieno il punto della questione, la ragione per cui la psicologa della scuola non ha scoperto un bel niente su di me: perché io non volevo.

« Sono solo degli incubi.» sussurro alla fine. « Anzi, è sempre lo stesso incubo.»

« Di che tipo?» domanda, ora evidentemente incuriosito dalla faccenda.

« Lo squillo di un telefono. Comincia di punto in bianco, mi risuona nelle orecchie e non la smette finché non apro gli occhi.»

« Ok...» mormora pensieroso. « E sai cosa potrebbe significare?» continua, al che annuisco, ma volutamente non gli do altre informazioni. « Riguarda quello che è successo con tua mamma?» chiede ancora. La mia unica risposta è un cenno della testa e lui, capendo che non voglio proseguire, mi lascia in pace.

Dopo essermi congedata con un'enorme groppo in gola, apro la porta che conduce alla sala d'attesa dello studio, ma proprio qui, mentre il dottor Darcy è alle mie spalle, la sua copia più giovane di vent'anni mi guarda confusa, seria e preoccupata.

« Cosa ci fai qui? Stai bene?» sbotta Blake, muovendo un paio di passi nella mia direzione.

Sto per rispondergli, dato che sembra tanto nervoso da spaventarmi, ma poi mi fermo. Non vedo Blake da una settimana, l'ultima volta se n'è andato da casa mia in modo maleducato e non è tornato nemmeno per salutarci prima di partire per Burlington. Come se non bastasse, oggi Simon è arrivato a casa da solo e, nonostante Andrew fosse contento di avere sua fratello maggiore nei paraggi, non ha fatto altro che chiedere di Blake, deluso e preoccupato; crede di essersi comportato male, e che sia a causa sua se Blake non è passato da noi. Quindi no, il sopracitato non si merita una risposta rassicurante.
« Sono terminale, mi dispiace.» affermo in tono piatto, prima di superarlo per uscire dallo studio.

Non appena mi ritrovo all'aria aperta e gelida, comincio a camminare in direzione della mia bici, ma ben presto vengo richiamata all'ordine. « Rose, aspetta!» urla Blake correndomi dietro.

« Non ho tempo.» rispondo con calma serafica.

« Ma che stai dicendo! Fermati un attimo!» non appena sento queste parole il mio braccio destro viene afferrato con una presa ferrea, tanto che sono costretta a fermarmi. Mi ritrovo di fronte a Blake, il quale ha il fiatone, le guance arrossate ed i capelli neri più scompigliati del solito. Non c'è la minima traccia di un sorriso sul suo volto e questo fa vacillare la mia presa di posizione. Perchè sembra sempre così triste? « Che diavolo era quella risposta? Perché eri nello studio di mio padre?»

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