XI.

127 26 9
                                    


L'atmosfera di festa diminuiva con l'aumentare della pioggia; quel luccichio e il tintinnar dei calici era finito bruscamente, senza dar a Luke la possibilità di abituarsi al cambiamento. Aveva visto Gwen svanire e in quel momento si era sentito mancare, le forze gli erano venute meno così come il respiro. Chiese alle persone in fuga se avevano visto un ragazzo andare più o meno a nord, poi chiese se avevano visto una ragazza vestita da maschio, ma questi continuarono a scuotere la testa o ad ignorarlo con grugniti infastiditi. La loro festa era rovinata, contava questo, a nessuno importava di una ragazza sola persa nella notte.

Come un bel sogno che si trasforma in incubo la serata mutò: la banda corse via per prima, le donne fuggirono con le gonne al vento, gli uomini presero quel che rimaneva della loro birra e del loro vino e si ripararono nella taverna, le strade furono d'improvviso svuotate.

«Lucas, vieni dentro!» Françis gli corse incontro sotto alla pioggia tenendosi una scialle sulla testa ma non riuscì comunque a raggiungerlo. Usò il suo nome alla francese, com'era abituata a fare.

«E' scomparsa – biascicò a una decina di metri di distanza lui, poi si fermò a guardarla con la disperazione negli occhi – Devo trovarla, tu non capisci.»

Gli occhi grigi della donna s'intenerirono, le sue sopracciglia s'incurvarono e alzò un angolo della bocca.

«Sta attento.»

La pioggia le aveva sciolto il trucco, usato per tenere insieme piccole rughe che soltanto pochi minuti prima non parevano esistere. Gwen non se ne era accorta guardandola, vide soltanto una donna giovane e bella, ma Françis aveva la bellezza di quarant'anni e adesso che l'incanto della festa era finito anche lei tornava alla sua vera forma.

Luke di rimando le donò un sorriso amaro e continuò a correre nella direzione in cui aveva visto sparire l'amica.

Gwen intanto, a testa bassa per riparare gli occhi, proseguiva per la sua strada: non stava andando da nessuna parte in realtà, non pensava neanche più, semplicemente camminava; la pioggia le batteva fredda sulla testa, scivolava lungo le ciocche di capelli neri e gocciolava dal naso e dal mento, senza che lei se ne rendesse conto.

Lontani erano gli schiamazzi della festa ormai finita, sentiva di essere arrabbiata e nervosa. La sua serata era stata rovinata e, capricciosa, fu contenta che anche per quelle persone felici fosse sparito tutto.

Per due minuti di lento cammino tra vicoli e stradine sentì soltanto lo scrosciare della pioggia battente e non si aspettava di sentire altro quando fu costretta a fermarsi. Aveva udito qualcuno chiamarla.

Proseguì incerta, autoconvincendosi di aver sentito soltanto un echo trasportato lì dalla pioggia e costretto a rimbalzare sulle pareti della stretta strada.

«Gwendolyn.» sentì di nuovo.

Non era un suono chiaro ma, questa volta, senza dubbio più reale.

Si arrestò di nuovo e stavolta alzò la testa per guardarsi intorno: tutto era avvolto dalla nebbia, da una fitta barriera d'acqua che impediva la vista. Un profondo senso d'angoscia si fece largo dentro di lei, immaginò i suoi organi circondati da una melma tanto densa da impedirgli di respirare. Freneticamente cominciò a guardarsi intorno ma l'incapacità di vedere a un palmo dal suo naso l'agitava terribilmente.

«Chi è là?» urlò, riuscendo a tenere gli occhi sbarrati nonostante la pioggia. Aveva paura di chiuderli, come una bambina lasciata da sola che si circonda di ombre e poi ne ha timore.

Sentì chiamarsi una terza volta da quella voce sconosciuta e soltanto ora, d'istinto, cominciò a correre.

Corse forte, spinta più che dai muscoli dalla forza di volontà, finché non inciampò in qualcosa lasciato lì per terra e non cadde. Al contatto col suolo smise di sentire la pioggia che d'improvviso aveva smesso di cadere; sentì freddo, fin dentro alle ossa, e quando si guardò intorno vide soltanto nebbia e un'ombra emergere da questa.

Quando quella grossa ombra che le si proiettò davanti pronunciò nuovamente suo nome, Gwen conobbe finalmente il proprietario della voce, o almeno la sua sagoma. La piccola speranza di vedere Luke venirle incontro svanì, nessuno la stava cercando ma era stata trovata.

D'improvviso la testa prese a girarle vorticosamente, una fitta di dolore le colpì il cranio e, ancora distesa a pancia in giù, si sforzò di prenderselo tra le mani. Si ritrovò poggiata sui gomiti che perdevano leggermente sangue per via della caduta; strizzò più volte gli occhi secchi e un calore improvviso le invase il corpo. Il dolore alla testa raggiunse il picco massimo, gemiti di dolore le risalivano spontaneamente su per la gola, sentiva ogni parte del suo corpo ardere nonostante il freddo, aveva bisogno di cedere.

Prima di chiudere gli occhi definitivamente, quella sera, lanciò un ultimo sguardo all'ombra che, pensò lei, si avvicinava fluttuando.



Oops! Questa immagine non segue le nostre linee guida sui contenuti. Per continuare la pubblicazione, provare a rimuoverlo o caricare un altro.


Come sempre sono in ansia e dubbiosa sull'efficacia di questo capitoletto, voi che ne dite? Troppo corto? Inconsistente? Mi piacerebbe tanto sapere che ne pensate.

Grazie per continuare a leggere, per incuriosirvi e per sognare con me ♡


Alla prossima -3-

Sturm und Drang - Tempesta ed ImpetoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora