V.

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Lo sparo di un cannone, seguito da grida umane e dal rumore di un qualcosa che si distrugge, non è un suono che si dimentica facilmente. Non è lo sparo in sé ma il silenzio che lo precede e il trambusto successivo ad impressionare: la tranquillità che si sente un attimo prima dell'arrivo di una morte lenta e rumorosa.

Gwen guardò la porta chiuderlesi davanti e indietreggiò restando con lo sguardo imbambolato, come se quel legno massello fosse un affresco da ammirare.

Continuò ad indietreggiare finché non toccò con il fondoschiena il grande tavolo in disordine che occupava una buona parte della stanza. Al tocco sobbalzò impaurita e solo allora scosse la testa svegliandosi dalla trance.

Come era successo nella galleria un paio di sere prima, anche adesso i rumori di quello che succedeva fuori arrivavano ovattati e lontani alle sue orecchie ma stavolta non riuscì a reggere e la pressione degli avvenimenti la schiacciò: seguì con la mente tutto quello che le era successo a ritroso e la prima cosa che vide furono gli occhi di Luke, così limpidi e buoni, che la spogliarono dalle sue paure e la avvolsero in una fresca coperta di seta, si sentì nuda e al sicuro. Quel ricordo fu scacciato dai visi e dagli odori nuovi che in quei due giorni l'avevano investita come una valanga, davanti agli occhi vide il viso di Philips McGregor, di Abe North, di Elrich Fanning e di molti altri componenti della ciurma ma riuscì a passare al ricordo successivo. La taverna avvolta nel fumo delle armi da fuoco invase il suo campo visivo in modo fulminio e poi la sua memoria fece un salto soffermandosi sul volto sereno di suo padre visto la sera prima che succedesse tutto ciò. Quasi non lo notò ma prima che la sfilza di ricordi si fermasse il viso di suo padre mutò, si dissolse e diventò qualcos'altro ma disgraziatamente, pensò lei, non riuscì a vedere in tempo.

Si ritrovò affannata e sudata a fissare il vuoto, poggiata con entrambe le mani sul piano duro del tavolo. Le scese una lacrima per la frustrazione, una soltanto, che le rigò di bianco il viso sporco.

Il frastuono non smetteva né diminuiva e, trascinando le membra pesanti fino a un letto incavato tra le travi delle pareti, si sedette tirando le ginocchia al petto fino ad abbracciarle. Per sua fortuna i rumori erano tanto forti da sovrastare il suono dei suoi pensieri, gli stessi che le impedivano di dormire da giorni.

Quando Luke e Jonathan entrarono nella cabina le prime luci dell'alba filtravano già dal finestrone giallastro retrostante al tavolo, illuminando la grande stanza e allungando le ombre degli oggetti.

«Guardala John...»

Fu lei la prima cosa che vide, quando Luke entrò dalla porta. Era nella stessa posizione in cui si era seduta almeno tre ore prima solo che ora dormiva accovacciata al centro del letto.

I due amici si scambiarono un'occhiata, incerti sul da farsi, e decisero di lasciarla dormire lì finché il sole non fosse stato alto. Nessuno si sarebbe accorto della sua assenza perché dopo quella notte erano tutti a riposare, la nave era ormeggiata in mezzo al mare e lo sarebbe stata per qualche altra ora.

«Resta qui a tenerla d'occhio, io vado a riposarmi su un'amaca.» Si scambiarono un cenno e il capitano uscì lasciando Luke da solo con la fanciulla. Rimase a guardarla ancora un po', così piccola e bella. Pensò con tristezza che anche un solo mese di quella vita l'avrebbe indurita, le avrebbe strappato la purezza della gioventù, ma poi sorrise e le accarezzò una guancia prima di sedersi su una cassapanca per riposare.

«Gwen!»

Correva, facendo svolazzare il suo abitino azzurro e quei bei capelli corvini nella brezza mattutina.

«Tanto ora ti prendo!»

Rideva, il vento le carezzava dolcemente il viso e il suono dei passi che la inseguivano si ammorbidiva nell'erba umida di rugiada.

Sturm und Drang - Tempesta ed ImpetoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora