XXXV.

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In quel preciso istante, in quella fredda serata di inizio autunno, l'ira si impadronì di molte persone.

Così come in Italia un bambino litigava con suo fratello; così come un indigeno tagliava lo scalpo a un suo nemico; così come una regina in una qualsiasi corte europea avvelenava la favorita del suo re, anche lì, nell'arcipelago delle Bahamas, due uomini poco distanti tra loro perdevano le staffe.

Henry Morgan con uno scatto felino saltò sul tavolo e, goffamente, rovesciando bicchieri e pietanze, afferrò Barbanera per il collo.

Mai un cedimento, il suo stesso viso non sapeva che sapore avessero le lacrime, ma in quell'occasione sgorgarono grosse e amare. Lacrime di rabbia, s'intende, e frustrazione, impotenza, incertezza. Né per sua moglie morta, né per la sua bambina scomparsa, mai si era lasciato trasportare da quelle spiacevoli emozioni che portano alle lacrime, ma il peso di tanta durezza e tutta la tristezza repressa gli caddero addosso.

«Non può essere vero, Alie è morta più di dieci anni fa!» sbraitava, mentre insieme cadevano sul pavimento, lui a cavalcioni su Edward Teach. E il suo vecchio compagno rideva, sguaiatamente e di gusto.

Intanto entravano i suoi uomini.

Con il mare a dividerlo da loro, Jonathan Barlow cedeva all'istinto di trafiggere Benjamin Skarsgard alla sola vista del forte illuminato di Nassau. Poi perse le forze.

Anche loro caddero insieme, John seduto, i gomiti sulle ginocchia, il viso tra le mani, e Benjamin, morto solo per poco, sorridente.

«Johnny...» Luke si divise dal gruppo e lo raggiunse; Skarsgard già cominciava a tossire, come ogni volta che tornava dall'aldilà, se mai ci fosse stato davvero.

«Era Alie quella che ho visto, vero?»

Jonathan annuì in silenzio, pensieroso.

«Chi può averla...»

«Teach – sbottò, poi alzò lentamente la testa – Solo lui sapeva la verità.»

Il fastidioso gorgoglio del sangue che ribolliva in gola a Benjaming annunciò il suo ritorno definitivo, una roca risata lo scosse tutto, rivoli di sangue gli sporcavano gli angoli della bocca.

«Dovreste vedere le vostre facce.»

Rideva, e rimaneva per terra, sulla schiena, le mani sulla pancia e le lacrime agli occhi. Non provava davvero la gioia che stava dimostrando ma era indubbiamente divertito e soddisfatto.

Gwen, che fino a quel momento aveva preferito ignorare l'intera faccenda, avendo già troppa roba a cui pensare, si rese conto di un inganno che ancora non comprendeva fino in fondo.

Pensò che aveva urgentemente bisogno di carta, pennino e inchiostro. Li vide nella sua mente, come li aveva visti nella cabina di Skarsgard. Aveva bisogno di scrivere le cose per fare chiarezza; elencarle, dividerle, illuminarle e poi comprenderle. Si sentì stupida, aveva tante domande da fare quando la risposta, lei lo sapeva, giaceva in un ricordo lontano, frammentato come un sogno qualsiasi dal quale ti svegli di soprassalto e ne dimentichi le forme.

Alla fine, priva della forza necessaria che l'avrebbe aiutata a capire, cominciò a camminare verso Jonathan. Superò Luke e infilzò di nuovo Mezza-lama Skarsgard, con fare annoiato, facendo sobbalzare per la sorpresa i mezz-uomini, poi si chinò sul suo amico e all'orecchio gli sussurrò di rientrare, di mangiare qualcosa e di riposare, perché l'indomani sarebbe stata una giornata dura. Lui la seguì tacito.

Prima di scendere sottocoperta, Gwen lanciò un ultimo sguardo a Luke.

Jonathan era scosso, fuori di sé; i due cenarono in silenzio e senza dire una parola Gwen lo mise a letto, pendendosi cura di lui con tutto l'amore che aveva, non badando al proprio dolore. Si meravigliò di quanto quell'esperienza, tutta la fuga e la vita in mare, l'avesse indurita, e pensava a questo mentre osservava inespressiva Jonathan addormentato.

Sturm und Drang - Tempesta ed ImpetoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora