XXXII.

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Ne uscivano di cotte e di crude da quella stanza. E la porta tremava, eccome se tremava.

Gwen si guardò indietro sperando di trovare Silver ma questi era già andato via. Ora, sola, avrebbe potuto tirarsi indietro e fuggire a nascondersi.

Una bimba vigliacca, ecco cosa sei; si ammonì da sola aggrottando la fronte.

La voce di Charles Moore si intrecciava con le grida di Luke, spezzando e addolcendo quel chiasso infernale. Ora gli diceva di star fermo, ora gli diceva di mangiare qualcosa. Gwen respirò profondamente e di scatto aprì la porta, se solo ci avesse pensato qualche secondo in più sarebbe fuggita.

Luke era in ginocchio sul letto, sudato fradicio e con la barba lunga, brandiva in mano una bottiglia vuota; Charles era appiattito contro la parete di legno e teneva le mani a mezz'aria, probabilmente per bloccare un suo possibile lancio. I due si fermarono così per un po', dandole il tempo di rimuginare sull'ondata d'olezzo puzzolente che l'aveva investita in pieno volto: sudore, alcol, sporco; trovare un animale morto sotto al letto non l'avrebbe sorpresa. Si guardò in torno molto velocemente e notò che non c'erano oblò, quella era la cabina in cui avevano tenuto lei qualche tempo prima.

«Tu!» ringhiò Luke, riconoscendo in ritardo la ragazza con cui aveva passeggiato la sera del suo rapimento e cambiando così il destinatario di una bottiglia volante. La lanciò con forza nella sua direzione ma, un po' per debolezza, un po' per l'ondeggiare della nave, la bottiglia finì in frantumi sulla parete e lui rotolò per terra.

Gwen sospirò, si passò una mano sul viso e fece segno a Charles di andare via. Lui si oppose, sosteneva che era troppo pericoloso lasciarla lì sola con quel pazzo, ma il sorriso rassicurante della ragazza gli fece cambiare idea.

Lanciarono insieme un'ultima occhiata a Luke che a carponi tentava di raggiungerli brontolando insulti, poi Charles andò via, lasciandola davvero sola con lui.

«Aspetta, ti farai male.»

Si chinò su di lui, provò ad aiutarlo a rialzarsi, ma questi si aggrappò con forza alle sue braccia solo per scaraventarla a terra. Solo allora Gwen capì quanto era diventata debole e fragile e ritrovarsi sul pavimento appiccicoso della cabina non le sollevò certo il morale.

«Finalmente hai trovato il coraggio di farti vedere, brutta sgualdrina!»

Avrebbe potuto rispondere a tono ma si rimise in piedi in silenzio.

«Il pavimento è pieno di cocci, vieni via da lì.» continuò atona.

Ora che anche lei se ne stava con le spalle al muro, immobile e afflitta, capiva un po' il povero Charles. Gli fece segno con la mano di rimettersi a letto, di non finire sulle schegge della bottiglia rotta, ma lui la raggiunse camminandoci sopra a piedi nudi. Oltre che pazzo era anche ubriaco, Gwen cominciò a pensare che forse rimanere lì non era stata una delle sue idee migliori.

«E' da giorni che penso a come ti avrei uccisa – avvicinatosi pericolosamente, la prese per il collo con una mano e la portò all'altezza del suo viso – E pensare che stavo per baciarti.» continuò, a un soffio dalle sue labbra.

Puzzava incredibilmente e l'alcol non era l'unico problema. Gwen trattenne le lacrime e il fiato, sperando di non morire davvero per quella stretta, ma lentamente portò le sue esili mani su quella che le teneva il collo e quel toccò parve calmarlo.

«Perché? Perché mi hai fatto questo?» le sussurrò ora, cambiando drasticamente espressione e tono di voce.

Indietreggiò in quello spazio ristretto fino a cadere seduto sul letto. Sollevò i piedi, avevano lasciato impronte di sangue.

Sturm und Drang - Tempesta ed ImpetoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora