XVII.

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La cucina era una stanzetta angusta, puzzolente di spezie, cipolle e altri alimenti dalla dubbia natura. L'unico a cui faceva piacere star lì era un certo Long John Silver, l'eccentrico cuoco della Red Mary, soprannominato Barbecue dalla ciurma.

Tutte le sere da una settimana si mangiavano pasti a base di un solo alimento cotto in tutte le sue sfaccettature: patate bollite, patate tritate, patate a cubetti, patate fritte, e poi ancora bucce di patate secche, bucce di patate impanate, stufato di bucce di patate e così via. Partendo così di fretta come avevano fatto non c'era stato il tempo di caricare tutti i viveri necessari per affrontare un viaggio, andare avanti di patate finché non avessero raggiunto un porto sicuro era la loro ultima chance.

In fondo a quei filibustieri piaceva la roba che gli rifilavano ma loro non erano costretti ad osservare le varie fasi di preparazione, tutto il giorno, tutti i santi giorni, con quella puzza nel naso che rimaneva appiccicata addosso.

Gwen lanciò via una manciata di bucce che ricaddero un po' per terra e un po' in un apposito secchio; sbuffò stizzita e prese di malavoglia un'altra patata da pelare.

Comunque, lei non ne mangiava. Era dimagrita visibilmente, le sue guance avevano perso il roseo colorito fanciullesco e gli occhi, circondati da profondi solchi violacei, parevano sbiaditi.

Da quando avevano lasciato l'isola era praticamente stata messa in isolamento, anche se non lo chiamavano così. Reclusa dal resto della ciurma, non parlava e non vedeva nessuno, neanche durante i pasti, se non Long John. Passavano buon parte del tempo insieme perché Jonathan Barlow aveva insistito per affidarla a lui.

«Tié, come mozzo non è buono, vedi se può esserti utile qui.» gli aveva detto e poi non si era fatto più vedere.

Continuando a pelare, con le mani umidicce e doloranti e piene di tagli perché le patate sono scivolose, non le restava che pensare. All'inizio fu contenta di avere del lavoro a distrarla ma presto si accorse che anche questo non funzionava più: allora pensava ai suoi genitori e ai ricordi sfocati che le rimanevano; pensava a Jonathan che chiedeva al cuoco se il nuovo ragazzo stesse bene, senza però avvicinarsi mai direttamente;  pensava che nessuno le aveva spiegato nulla e per questo era furiosa; pensava a Luke, più spesso di quanto le piacesse ammettere. Lui non chiedeva di lei, non la cercava e non la guardava, ma Gwen lo sentiva cantare alla sera e pensò addirittura che quel canto fosse per lei. Pensava a quel pomeriggio ormai lontano, andato, che non sarebbe mai più tornato, e sospirava sentendo qualcosa avvolgerle il cuore.

In quei momenti prendeva a piovigginare.

Malinconica e triste, continuava a svolgere le mansioni che le venivano assegnate in religioso silenzio.

«Hai finito.» sbottò Long John senza preavviso, fingendo di non guardarla, mentre lasciava cadere cose strane in un pentolone fumante.

Lei non rispose.

Silver era un omone alto e grosso quanto un armadio e non ci mise nulla a farle ombra con la sua figura.

«Sei un ragazzino strano, per oggi non voglio averti tra le palle, va a farti un giro.»

Gwen, in silenzio, continuava a gettar via bucce alla ceca. Non le importava di irritarlo con il suo comportamento o di sporcare il pavimento; in altri casi le sarebbe anche stato simpatico però era una femmina, con un capriccio, in un periodo particolare del mese, e aveva deciso di non parlare.

Bruscamente, vedendola apatica ai suoi ordini, le tolse da mano una patata mezza pelata e il coltello che stava usando. Solo a quel punto Gwen alzò la testa e fissò i suoi occhi spenti in quelli vispi del cuoco. Non aveva una gamba, si teneva in piedi saltellando in giro con una stampella, era buffo.

Sturm und Drang - Tempesta ed ImpetoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora