XV.

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Quella casa abbandonata fu per loro più di un rifugio dagli sguardi, più di un "nido d'amore".

Per settimane andò avanti la cosa e ogni mattina all'alba, dopo aver dormito stretti l'uno all'altra, Jonathan andava a lavorare alla ricostruzione del forte, distrutto dall'incendio.

Faceva ritorno nel tardo pomeriggio e, ogni volta che tornava, Alie era un po' più vicina alla porta. Alla sera infatti lui le insegnava a camminare e le raccontava del mondo degli umani  mentre lei, di rimando, gli insegnava ad amarsi.

«Jonathan? Sei tu?» chiese spaventata una sera, scorgendo un'ombra che non conosceva.

«Si Alie...»

Tirò un sospiro di sollievo riconoscendo la sua voce e gli corse in contro barcollando come una bambina ma poi si fermò di fronte a lui, inclinò la testa per osservarlo meglio e accennò un sorriso. Jonathan era visibilmente imbarazzato ma attese una reazione.

«Sei...» gli accarezzò il viso liscio, appena rasato, senza riuscire a trovare le parole adatte.

«Non ti piace?» chiese allarmato.

Osservandoli, gli passò una mano tra i capelli corti, era una cosa nuova. Scosse la testa in ritardo, rispondendo così alla sua domanda, poi fissò gli occhi in quelli di lui e gli regalò il più dolce dei suoi sorrisi.

«Sei così bello, John.»

Anche se aveva poca dimestichezza con le faccende umane, si rese conto che quel cambiamento era un regalo per lei, lo sentì dal suo modo di guardarla.

«Ma eri bellissimo anche prima, con i tuoi capelli lunghi – gli prese una mano e gli baciò le nocche ruvide – e con la barba che mi pizzicava le guance» sorrise e gli lasciò altri due baci, uno sulla mascella e uno all'angolo delle labbra.

«E con la tua camicia vecchia e i pantaloni rovinati dall'acqua di mare» rise ancora, notando i vestiti nuovi, e lo strinse forte a sé.

«Meriti tutto il meglio Alie.» le sussurrò tra i capelli. 

«Finché avrò te.»

Erano così innamorati da non badare al cibo, al tempo che passava, alle loro differenze. Si amavano tanto da non pensare a null'altro e la cosa parve funzionare bene fin quando prima i marinai, colleghi di John, e poi il Capitano Morgan, non cominciarono a farsi domande. Non riuscivano a capire perché quel tanto promettente pirata si fosse chiuso in se stesso a quel modo: non parlava più con nessuno, non li accompagnava nella taverna per le bevute e non li seguiva più nel bordello, evitava di salpare anche se solo per piccoli viaggi di ricognizione, stava tutto il tempo da solo e non mangiava, conservava le razioni di cibo e le portava a casa la sera.

Allora un giorno, più per accertarsi che stesse bene che per curiosità di sapere, il capitano lo convocò nella sua dimora momentanea, un appartamento al piano superiore del bordello.

«Jonathan!» esclamò alzandosi in piedi quando lo vide entrare, sorpreso di trovarlo così tirato a lucido.

«Buongiorno capitano, mi avete mandato a chiamare. Avete bisogno di qualcosa?»

Aveva sempre provato ammirazione per il suo capitano ma l'inquietudine che sentiva al suo cospetto superava tutte le altre emozioni.

Henry Morgan scosse la testa e tornò a sedersi, senza smettere di fissarlo, sempre più preoccupato.

Sturm und Drang - Tempesta ed ImpetoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora