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Agosto 1997

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Agosto 1997

Oggi è un giorno che non passa.

Macino chilometri da tredici ore col culo su un autoarticolato, e l'autostrada sembra una gigantesca latrina assolata che puzza di asfalto sciolto e lamiere che sollevano polvere.

È l'estate più tragica della mia vita, anche perché le altre non me le ricordo, ero troppo sbronzo. Ma da un po' vivo sobrio, occhi aperti e naso che fiuta l'aria tossica e sa di cosa parlo: ho smesso di credere al futuro, alle fottute cose da fare entro l'anno, a tutto. Forse non c'ho mai creduto veramente.

«E spostati!», mi urla uno yuppie col Duetto scappottato in sorpasso, che mentre mi taglia la strada mostra il dito medio.

«Bastardo!» Gli tuono col trombone del camion che fa tremare l'intera corsia, ma non posso inseguirlo, non posso ammazzarlo questo fighetto che va di corsa perché non vuole perdersi l'ombrellone in prima fila.

Devi rispettare la carreggiata, devi rispettare il dannato limite, ottanta orari, pure se ti sei fatto già millecinquecento chilometri e nessuna sosta. Che razza di vita è, fare il camionista? È una vita in movimento che però non porta da nessuna parte. Meglio un colpo in testa e non se ne parli più.

Certe volte mi sembra di affondare in questo fiume di paradossi in piena. E papà, centotredici chili di sani principi, mi dorme accanto e russa così forte da diventare ipnotico. Si è addormentato più o meno all'altezza dello svincolo col quadrante nord, appena superato il casello per Roma. Non lo posso svegliare, ha guidato tre giorni senza mai fermarsi. Odio stare seduto su questa poltrona di pelle che sputa gommapiuma con le molle che saltano a ogni buca. Sono gli pneumatici, vecchi e secchi, un'altra fossa e forano.

Il fighetto col Duetto corre e strombazza una cantilena da stadio, come un tifoso che ha appena vinto la coppa, vorrei speronarlo ma questo dannato camion non è mio, e non ho neanche la licenza.

Ormai la vedo così, le fasi della vita sono tre: la fase fuori, la fase davanti e la fase dentro.

Fuori è quasi sempre la vita che qualcuno ha scelto per te e che ti costringe a fare tutto meno quello che ti va di fare; davanti è quella che vivi distratto, pensando ad altro, e ti fa sfuggire di mano il tempo senza aver afferrato niente; dentro è la vita che vorresti e che insegui come un folle senza raggiungerla. Sono i sogni, i progetti per il futuro, roba che una mattina ti svegli e capisci che non è per gente come te. E infatti non faccio altro che vivere la vita fuori e davanti, e quella dentro l'affogo di spinelli.

«Cazzo, sì!»

Entro in corsia e mi immetto nella piazzola di sosta per gli automezzi pesanti, non se ne trovano mica a ogni tratto. L'Autogrill attrezzato appare come un miraggio.

Sono le due di un pomeriggio di agosto e c'ho una fame nera. Se fumo un'altra sigaretta schiatto, devo bere. Spengo il motore e il camion si assesta, sbuffa, pare un bisonte in agonia che esala l'ultimo respiro, e mio padre si sveglia di soprassalto.

«Che fai, Rio? Non ci possiamo fermare», bofonchia con l'alito che puzza di tabacco.

«Senti pa', devo pisciare.»

Non aspetto che risponda, lo so che me la farebbe fare nella bottiglia, scendo e basta. Salto giù e mi si piegano le ginocchia, sono anchilosato. Mi stiro, faccio pure sei piegamenti e la schiena scricchiola. Come ha fatto mio padre a stare qua sopra vent'anni? Io in due giorni sono già sfinito. La prossima volta che decido di fargli il favore, prima mi prendo a pugni da solo.

Cammino lungo l'area di sosta sotto questo solleone e sembro zoppo, con le gambe che non rispondono, manco me la fossi fatta a piedi da Mestre.

Impreco. A pochi passi dall'entrata mi accorgo che il karma a volte è davvero una bella invenzione: il Duetto che mi ha tagliato la strada è parcheggiato qui.

Entro nella sala bar con un sorriso diabolico e inizio a guardarmi intorno. C'è una ressa, vanno tutti al mare, 'sti bastardi abbronzati che puzzano di Coppertone. Ho davanti dodici persone, per fortuna il cassiere è una scheggia, conta con i razzi nelle dita. Pago acqua e caffè e mi avvicino al bancone.

«Fammelo al vetro», dico al ragazzo che si muove scoordinato, come uno che non sa più a chi dare i resti. Qua c'è odore di caramello e sudore, un vociare di risate e discorsi sovrapposti e spalle e gomiti che sfiorano e che spingono e mi fanno saltare i nervi già sfilacciati dal viaggio. Ho la lingua incollata, mi scolo la bottiglietta d'acqua ghiacciata senza riprendere fiato e poi infilo in gola il caffè bollente, e lo stomaco ha uno spasmo. Ci manca che mi infliggo una congestione. Devo sciacquarmi la faccia, scendo di corsa nel bagno. Arrivo al lavabo e ficco la testa sotto al getto, ci saranno quaranta gradi di fuori, mi asciugherò in fretta.

Ma guarda quello, ma non ce l'ha una casa?, sento una voce maschile ridere. E si riferisce a me e alla mia quasi doccia. Lo guardo male, poi lo guardo meglio: il fighetto del Duetto.

Adesso sono cazzi tuoi, penso.

Faccio il vago, mi riesce bene: gli passo davanti ma non lo perdo di vista. Lui nasconde la faccia da idiota dietro grossi occhiali da sole specchiati, e mi rifletto nella sua traiettoria mentre ci avviciniamo all'uscita. Chiacchiera con una tipa bionda e spellata che s'è dimenticata la maglietta e se ne sta a tette al vento come se il bikini fosse autorizzato ovunque, visto che lei è in vacanza e diretta in spiaggia. Sfioro con la spalla il fighetto, non lo guardo, agguanto due scatole di preservativi dallo scaffale, sgancio una canottiera da una stampella, e con una mossa fulminea glieli infilo nello zaino mezzo aperto che porta sulle spalle. Il fighetto non si accorge di niente, mi sta davanti ma continua a sfottermi, parla del mio gocciare sul pavimento. Una manciata di secondi e lo supero, mi sgranchisco appena fuori dalle porte a vetro e tre, due, uno: una sirena insopportabile spacca il silenzio e si mette a suonare come un'ossessa.

Signore, si fermi! Venga qui!

Ma dice a me? Ma che vuole?

Mi mostri la borsa e le tasche, per favore.

L'antitaccheggio è davvero una bella invenzione, almeno quanto il karma.

No, un attimo, c'è un equivoco! Io non ho rubato niente!

Questi non li ha pagati, venga con noi, prego.

Lancio un'occhiata alla scena del fighetto e della bionda in bikini trascinati dentro da una guardia giurata: si sbracciano, si vergognano, e io godo.

Ringrazia che non ti rigo la carrozzeria, coglione.

Me ne torno verso il camion. 


∞ nessuno muore per sempre ∞Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora