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In pieno giorno, col sole a piombo sulle nostre facce atterrite, io, Cisco e Massimo corriamo rapidi lungo il retro dell'edificio. La saracinesca del garage è divelta, l'hanno fatta saltare. Per come s'è accartocciata su se stessa sembra implosa. È lo stampo dell'intimidazione mafiosa, dice Cisco.

Ci acquattiamo. Massimo mi passa mezza Camel.

Soffia fuori fumo, «Ormai se lo so' bevuto, perché ci tieni tanto ad averle?».

Davanti è tutto transennato, c'è il nastro giallo e ci sono due volanti appostate, per entrare dobbiamo infilarci nella finestrella che accede al cesso.

«Te lo spiego dopo. Vai.»

Ci muoviamo rapidi.

Massimo si mette in posizione, fa il palo all'angolo, se arriva qualcuno deve fischiare.

Cisco mi aiuta a salire, metto il piede sui suoi palmi incrociati, lui spinge, io spacco il vetro con una chiave inglese, forzarla avrebbe richiesto tempo. Mentre pezzi e schegge precipitano, lancio un'occhiata alla strada e Massimo è sparito. Sto per infilarmi dentro e anche la presa di Cisco mi molla, quasi precipito. Vedo la sua ombra schizzare via. Resto appeso, non mi posso muovere. Dovevo afferrare lo straccio dalla tasca e piazzarlo sui vetri acuminati lungo il davanzale per scivolare dentro al cesso, ma senza Cisco sono rimasto in bilico come un coglione. E penso di sapere il motivo.

«Scendi di là!», sento.

Parlo guardando dentro al cesso, con le gambe a penzoloni lungo il muro esterno. «Come faccio, capo? Qua mi sbraco tutto. Dammi una mano.»

Lo sento sospirare e poi mi abbraccia le ginocchia e la sua mano mi allunga lo straccio. Lo arrotolo ai palmi e faccio leva per saltare, in poco riesco a raggiungere terra e mi controllo le mani per vedere se ci si è infilata qualche scheggia.

«Ci rivediamo, Valerio Riva. Il mondo è davvero piccolo.»

Lo guardo e ha ancora addosso quel completo di jeans da profugo.

«Il mondo lascialo stare, è Fregene che è un buco di culo.»

Sorride. «Che ci facevi appeso lì? Non hai visto che questo garage è sotto indagine?»

«Dovevo riprendermi una cosa che avevo lasciato al Gommista prima che me la rubavate voi guardie.»

Il poliziotto mi guarda con l'espressione compiaciuta, non so se per aver trovato la scusa di arrestare anche me.

«Noi non rubiamo, noi sequestriamo secondo la legge.»

«Tu lo chiami sequestro ma è come un furto. Vi prendete roba che non vi appartiene con la scusa delle indagini e poi non la restituite manco a caso chiuso.»

Scuote la testa e si accende una cicca, tabacco e cartina, arrotolata e leccata.

«I tuoi amici ti hanno abbandonato, se la sono data a gambe appena mi hanno visto arrivare.»

«Quali amici?»

Si diverte, lo vedo.

«Vieni, Riva, faccio strada. Ti accompagno a prendere quello che cercavi.»

Vado indietro, «Non importa. Casomai ripasso.»

Mi infilo le mani in tasca e faccio dietrofront ma lui mi cammina accanto, butta la cicca, io accelero e lui fa altrettanto, mi supera e mi blocca spingendomi il petto a palmi aperti.

«Cercavi le banconote false?»

Tiro su col naso, 'sto tizio odora di inamidato, lavaggio a secco. Non ha la lavatrice, evidentemente.

∞ nessuno muore per sempre ∞Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora