22 (part 1)

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Non ho mai creduto che la storia potesse ripetersi; sarebbe come guardare lo stesso film due volte, e di solito è una scelta. Se invece capita e basta, è il destino che presenta il conto.

Da quando sono arrivato in questa villa non ho fatto che muovermi alla ricerca di Lara, forse perché qui c'è vespa modificata che ci spia, forse perché mi rende inquieto la presenza del vecchio mafioso, forse perché sono geloso di Luis e dei suoi soldi, resta il fatto che quella ragazzina stasera è una priorità assoluta per me e come tutte le cose che cerchiamo di afferrare, è sfuggente. Infatti è sparita di nuovo. Ce l'avevo nel raggio di azione, mi muovevo dritto verso di lei e poi un gruppo di yuppie seminudi mi ha tagliato la strada, un coglione si è tuffato e una cascata d'acqua e cloro m'ha mancato per poco, e insomma, lei è svanita di nuovo.

«Che fa, si nasconde?», sbuffa Massimo, attaccato a me come la colla.

Non gli rispondo, ho lo stomaco rivoltato, sono addirittura sobrio alle dieci di sera.

Lui afferra al volo il quinto flute di Campagne da un vassoio in movimento e se lo scola collo indietro in un istante.

«Un milione a bottiglia e mi pare meglio lo spumante di mio nonno», si lamenta.

Cerco di apparire calmo, le mani affondate nelle tasche della giacca, l'aria sicura, la camminata veloce tra le siepi e gli alberi, e uno slalom sincronizzato tra gli invitati invasati senza mai sfiorare nessuno.

«Mi devi promettere», dice a un certo punto, «che ci libereremo di questa gente, no, veramente, mi devi promettere che--».

«Io non faccio promesse», lo interrompo. «Non più. Ho finito con le promesse.»

Le promesse sono spine che non puoi estrarre da solo, che ti serve la vita a favore per rispettare. Io ci sono già passato e ho smesso di pagare solo adesso, non ce la faccio a ricominciare. Non ho mai dimenticato quella notte.

La pista di decollo s'intravedeva come la linea di confine che lampeggia per ricordarti che lì finisce il tempo, che lì finisce il mondo, che oltre non puoi andare. E le scie luminose proiettate in lontananza sulle piste d'atterraggio roteavano in aria e illuminavano a momenti il passo e poi lo ripiombavano nelle tenebre.

La gara non era ancora finita e già in tanti erano volati per aria.

Avevo buttato la moto in mezzo alle dune sabbiose col rischio di essere investito, e mi ero messo a correre nella direzione in cui li avevo visti schiantarsi. I timpani erano assediati dalle grida e dal rombo dei motori in avaria che s'impantanavano e ruggivano a vuoto; erano assordati dallo strillo metallico dell'aereo che ora si era staccato da terra e aveva iniziato la salita.

Le gambe erano pesanti, affondavano nella rena intorno ai recinti, e io gridavo e chiamavo il loro nomi, Mirko, Haaron, dove cazzo siete! E non riuscivo a sentire altro che grida feroci, motori sovrapposti, schiamazzi, e mi infilavo nel lampo di luce lanciato dalla torre di controllo che ogni dieci secondi mi permetteva di capire dove stavo andando.

Annaspavo, ero disperato, possibile che si fossero infognati così bene? Quasi speravo di vederli risalire, apparire dietro la duna e alzare le braccia verso di me. L'orizzonte era nero e la terra era mobile e io finivo mangiato dalla sabbia a ogni passo, man mano che mi avvicinavo al recinto.

Avevo visto una mano insanguinata, sbucava da un parafango schiacciato contro il palo di sostegno del recinto. Ero caduto in ginocchio e avevo pianto perché sapevo che là sotto, sotterrato dalle lamiere, c'era Haaron. Come un pazzo avevo spazzato via la sabbia dalla sua faccia e cercato di spostare quel rottame che lo aveva trafitto al petto e si trascinava via pure le sue budella sanguinolente mentre tiravo la carena con la forza della disperazione. E alla fine mi ero arreso. Non mi ero accasciato su di lui solo perché dovevo cercare Mirko che forse poteva ancora essere salvato.

∞ nessuno muore per sempre ∞Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora