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A Ponente il sole delle tredici cuoce e noi, dieci moto che ruggiscono e sgasano potenti, carichiamo l'adunata e svettiamo infilati nell'orizzonte come il plotone d'esecuzione che va a saldare un conto aperto.

Sto in testa alla fila e faccio cenno di rallentare, la polvere gravita alta intorno e l'attraversiamo come si oltrepassa quella inutile, disadorna nuvola del cazzo e la spezziamo a metà. Quando siamo uniti, insieme, è sempre una vittoria.

C'è chi fischia alla ragazzina che passa di lato col suo vestitino leggero sollevato dal vento che inneschiamo, chi ride con l'altro, chi supera in coda e fa il dito medio a chi rimane indietro a fissare le gambe nude che vanno ad arrostirsi in spiaggia. Suoniamo il clacson tutti insieme e tiriamo col gas, decine di suoni levati in alto e segnali di complicità, ché questo posto ci appartiene, il buco è nostro, e qui nessuno può fermarci.

Circondiamo l'isolato: moto davanti alla battigia, dietro alla rimessa, all'ingresso, intorno al Porto e alla casa di Gippo. Scendiamo solo io, Roberto e Massimo. Marciamo come lo squadrone della morte, gli altri controllano il perimetro.

Sbatto il pugno tre volte sulla porta di legno; con un calcio potrei sfondarla ma non voglio lasciarlo senza difese, voglio solo riprendermi la roba.

«Gippo, sono Rio, apri!», urlo.

Ci mette un po' , poi apre e lo colpisce un lampo di luce, lui stringe gli occhi e si porta un braccio alla faccia per coprirsi, ha la barba ancora più lunga, crespa, puzza di chimico, e dietro di lui è buio pesto. Le mie narici sono immediatamente investite da un odore nauseante che per la prima volta non riesco a scomporre in parti: c'è l'acrilico usato per imbiancare e poi c'è qualcos'altro che fa da collante alla miscela. Non ho mai annusato niente di più tossico. Mi stordisce.

La prima cosa che mi viene da dargli è: «Ma sei impazzito, stai al buio e con le finestre chiuse? Con questa puzza! E c'hai pure l'asma».

Gippo riesce a mettermi a fuoco, mi sbircia come si fa con l'estraneo a cui prendi le misure.

Bofonchia: «Come lo sai che ho l'asma? Te l'ho detto io?».

Sbuffo, «Facci entrare, Gippo, dobbiamo parlarti.»

Lui è calmo, mezzo addormentato, si scosta e fa strada, «Dovete parlarmi dell'asma?».

Con Massimo e Roberto ci scambiamo un'occhiata perplessa ma ci infiliamo dentro in rapidità, prima che cambi idea o che decida di imbracciare il fucile cimelio.

Loro si lanciano alle finestre e spalancano tutto, vetri e imposte. Penetra luce, entra aria. Ma non basta. Questa puzza chimica mi sta uccidendo.

«Che cazzo hai spruzzato in giro, Gippo?»

Lui si mette le mani in testa e quasi si dispera: «Fermi, cosa fate! Non aprite! Non si asciuga la parete se aprite! Ci va sopra la salsedine!».

Se il suo modo per combattere l'asma è ridipingere le pareti col veleno, direi che è davvero arrivato, 'sto vecchio.

Faccio un cenno a Massimo di andare nella stanza accanto, quella in cui teniamo le scatole. Intanto col mento faccio intendere a Robertone che deve stargli alle spalle e tenerlo fermo.

Gli arrivo davanti e lo guardo corrugato, mi sta scoppiando il mal di testa.

«Mi devo riprendere la roba di Natale. Okay?»

Lui spalanca le braccia e gli occhi, «Ma non è Natale!».

Cazzo! Capo!

Lo strillo di Massimo che proviene dall'altra stanza mi gela il sangue all'istante.

∞ nessuno muore per sempre ∞Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora