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Io e Massimo camminiamo disinvolti lungo il vialetto alberato che porta al gazebo dove si concentra la festa. Non vedo più il gruppetto con Luis e Love, mi guardo intorno ma sembrano spariti.

Da questo momento la mia missione sarà di trovarla e poi trascinarla via da questo inferno a costo di farmi prendere a pugni.

La gente per lo più gravita barcollante, fatta d'alcol e in costume da bagno. Ci sono quelli con la giacca addosso e niente sotto, solo i boxer.

L'odore di carne arrostita è nauseante, una nuvola di spezie e pepe sollevata nell'aria fresca di questa serata di fine estate. E le urla e le risate della gente mi attanagliano i timpani, il tonfo di tuffi in piscina e le grida e i tappi che volano in aria col botto.

Ho i sensi sopraffatti e mi accorgo in ritardo della musica che invade il giardino: Live to tell. Non la sentivo da anni.

Mi fermo e respiro. Sarà lo stomaco rigirato, lo shock, sarà l'ansia che m'ha preso e non mi molla ma ho un'allucinazione. Non può essere altro. Mi vedo arrivare incontro lo spettro di Haaron, l'incubo in cui il complotto si consuma e io sono la preda e lui è di nuovo il carnefice.

Massimo mi stringe il braccio, «Fratello, che c'è?».

E mi investe l'immagine di Mirko e mi fa tremare l'anima. Sono laggiù che si guardano e poi mi guardano e ridono di me.

Sussurro invasato: «La verità non è mai dietro l'angolo».

«Che?», chiede Massimo. «Te sei impazzito?»

E dietro i fantasmi vedo i mandanti. Ora li metto a fuoco, ora capisco che m'è preso. Mi scatta una molla nel cervello e mi manda il cuore in tachicardia.

Il fatto è che quando lasci la partita a metà e ti ritiri, prima o poi torna e ti presenta il conto. E succede quando non te lo aspetti. Ma lo sapevi che i conti si devono chiudere, altrimenti i demoni continuano a rincorrerti per sempre, lo sapevi che è solo una questione di tempo.

Se ne sta in piedi davanti al buffet a parlottare con gli altri due. Sono vestiti in camicia e jeans, camicie che sembrano stracci con le maniche larghe che arrivano ai gomiti; tre contadini, si direbbe, con le mani tozze e le borse grosse sotto agli occhi, con le rughe pesanti e la pelle sfinita di macchie e di grinze. Se ne stanno così, assolutamente fuori dal coro, loro non sono ricchi, non sono amici di nessuno, occupano il centro del portico e non se ne preoccupano. Se ne stanno lì col bicchiere in mano, largo, liquido giallo, sarà Scotch.

«Che t'ha preso, Rio?»

«Ho visto un tizio che mi ricorda qualcuno.»

«Chi?»

Non la smetto di fissare il vecchio, lo studio come si fa col nemico, per trovargli un senso e darmelo prima di diventare matto. E quello, come per un richiamo non scritto, urlato solo nella testa, volta lo sguardo e mi vede. Mi osserva da lì. E mi fa gelare il sangue all'istante.

E le parole di Haaron mi tornano in mente come un mantra che pensavo di aver dimenticato e invece ricordo a memoria: questa è gente che costruisce sottoterra lo spazio e il posto che vuole occupare. E mentre tu pensi di aver preso il posto migliore, quello all'attico, quello vicino al finestrino, quello con il sole a nord o il mare davanti, loro ti scavano intorno e sotto e prima o poi tu muori. Prima o poi tu affondi, perché la terra su cui tieni i piedi ti si sbriciola intorno e ti risucchia. E tu precipiti di sotto, nel vuoto, nelle tenebre. E loro sono lì ad aspettarti. In silenzio, col viso sereno e il sigaro in bocca. Loro non temono la notte e non hanno bisogno né del giorno e né di te. Loro, se non servi, ti uccidono.

∞ nessuno muore per sempre ∞Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora