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Sono le tre del mattino e fuori è buio. Al Porto c'è un vento che odora di carburante disperso in mare e trasportato in aria così forte che me lo sento nelle ossa.

Abbiamo scaricato gli imballati nel retro, solo lì c'è la saracinesca, il resto dello stabilimento è senza copertura. Dopo un'ora di carico e scarico ci fermiamo col fiato corto e la parola che ci manca da quando siamo scappati. Nessuno dice niente. Non lo so se è paura di essere stati visti o solo stanchezza, ma percepisco il danno della roba rubata come se me la fossi tarata sulla schiena per vedere se reggere il peso sarà il minore dei mali.

È scattato l'allarme, alla rimessa, ma ci avranno riconosciuti? Avevamo i passamontagna ma a me lì mi conoscono tutti, sanno pure come corro. È tardi per entrare in paranoia, lo so, dovevamo rubare tre set di ruote e qui davanti a noi ci sono una dozzina di imballati pesanti. Non voglio dirlo ad alta voce ma ho una paura fottuta che ci siamo rubati la roba sbagliata. Tre di questi scatoloni non dovrebbero essere qui.

Cisco mi arriva di fronte e fa una smorfia divertita. «Capo, è il momento di vedere che ci siamo accattati. Apriamo tutto.»

A lui non importa, gli sembra una festa. Ci rubiamo tutto, anche troppo, basta che usciamo dal tunnel, quello dove si perdono gli orfani di vita come noi. Io non ho mai visto la fine di questo labirinto dritto e nero e non ci ho mai pensato veramente che potrebbe finire, mi sento al sicuro a starci dentro perché finché resta intatto, finché resta buio, non può farmi male.

Massimo fa scattare la lama lunga di un coltello a serramanico e si fionda sul nastro isolante che sigilla uno degli scatoloni. «Se sono pezzi di ricambio per i camion, abbiamo svoltato. Sono soldi a palate.»

Taglia con una precisione chirurgica e l'entusiasmo nella manovra.

Resto indietro, chiudo gli occhi alla brezza che mi investe e una parte di me, quella pura, prega che sia quello che basta. Perché i soldi ci servono ma non ci devono avanzare. Non ci devono cambiare.

«Puttana madre!», urla Massimo.

Apro gli occhi e li vedo tutti intorno allo scatolone affacciati a guardarci dentro con le bocche spalancate come ragazzini davanti al mostro nell'armadio. Ho quasi il terrore di sapere che cosa hanno trovato.

È Cisco a svelare il mistero e a distruggere in un attimo tutti i buoni propositi che mi ero fatto nella testa, a farmi crollare in testa il tunnel.

«Capo, qua c'è cocaina a chili!»

Scatto sull'apertura dello scatolone e resto senza parole: decine di panetti avvolti nella plastica. Saranno chili su chili di polvere confezionata pronta per essere spacciata.

Ma come cazzo è possibile che nella rimessa dei camion ci sta la droga?

Ho le mani sulla faccia e vado indietro un passo dopo l'altro. Mi pare che il camion che ho depredato delle gomme mi abbia appena schiacciato.

Stanno tutti muti a fissare i panetti e lo vedo che hanno paura come me.

«Dobbiamo sbarazzarcene, la rimettiamo dove l'abbiamo presa.», dico col respiro spezzato dall'angoscia.

Massimo si muove come una pallina impazzita e urla: «A sì? E come, sentiamo! Non ci possiamo più tornare all'autorimessa, ormai lo sanno che c'è stato un furto! E non mi avevi manco avvisato dei Dobermann, però lo sapevi che c'erano, ti eri portato la carne!»

«Ma adesso che cazzo c'entrano i cani?»

Mi arriva addosso e mi afferra per le spalle, «Io non ci voglio finire in galera! Per roba così ci danno l'ergastolo!»

Tarzan va subito al sodo, «Non abbiamo mercato per questa roba, ma potremmo farci soldi veri. Io considererei l'ipotesi di tenerci tutto e rivolgerci alla piazza dello spaccio giù a Ponente.»

«Non se ne parla!», ringhio.

Massimo cammina avanti e indietro e lo strattona per le spalle: «Quelli che gestiscono il giro dello spaccio li conosciamo per modo di dire. Girano armati e rendono conto a un clan di Caserta, non famo cazzate, io con gli spacciatori non ci voglio avere niente da spartire!»

«Rubiamo un furgone e ce la carichiamo», la risolve Robertone, «poi lo lasciamo parcheggiato davanti all'autorimessa. Se la riprendono e basta.»

«Ma valgono milioni!», insiste Tarzan. «E io e Cisco veniamo da Forcella, ci pensiamo noi a spacciarla».

Cisco lo schernisce, «Sì, milioni di anni di galera, frate'!».

Massimo è fuori controllo, passa in mezzo agli scatoloni sistemati per terra e inizia a inveire contro tutti col coltello puntato a casaccio, «Almeno quegli cazzo di pneumatici quattro stagioni li abbiamo presi?», e infilza ogni superficie come un invasato. «Dove stanno, dove, dove cazzo stanno gli pneumatici!» Strappa via il nastro isolante, taglia lembi di cartone finché colpisce in pieno una porzione di scatola che si mette a sputare fuori polvere bianca come una zuccheriera rovesciata.

«Cazzo, si nu' fetente! Hai sventrato nu' panetto!», urla Cisco.

«Ora te la faccio raccogliere con le mani», la indico. «Anzi con la paletta della spiaggia. Fino all'ultimo granello, se non ti dai una calmata.»

Devo restare lucido, non lo posso aggredire, mi sento in colpa, l'ho combinato io questo casino.

«Stanno qui!», esclama Robertone che ha aperto un'altra scatola sul fondo. «Gli pneumatici, ci sono.»

Massimo si zittisce e il coltello piomba a terra insieme alle sue ginocchia che si piegano e lo buttano giù come un fantoccio con la faccia distrutta.

Mantengo l'equilibrio e parlo misurato, cosciente. «Fatemi controllare una cosa.»

Prendo il casco e faccio per uscire.

Cisco mi chiama, «Dove vai, capo?».

Non mi fermo, «Torno tra un'ora, restate qui. Non possiamo lasciare la roba incustodita, fate i turni.»

Monto e accendo motore e sigaretta con la stessa foga, mi serve Love, devo trovarla subito.

∞ nessuno muore per sempre ∞Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora