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Non corro, c'ho il vento che taglia la strada e vado piano, tra le luci fioche dei semafori e la fila di lampioni che guardano alle imbarcazioni, laggiù. Navi cargo al largo che si allontanano mentre io me la faccio a quaranta e quasi sbando per come sono rallentato, rischio di non tenerla, di finirci per terra. Sono un morto su una moto zombie e non riesco a togliermi dalla testa quei panetti di coca.

Arrivo al parcheggio del pub e un coglione mi taglia la strada di corsa come uno che scappa dal luogo del delitto, c'ha una vespa modificata che fa un casino, ha la marmitta sporca, evidentemente cammina troppo in mezzo alla polvere, e comunque per poco mi ci scontro mentre corre via dal parcheggio del locale.

Mi fermo, smonto. Hanno chiuso, Lara sta uscendo, lo so che stacca a quest'ora, ci sono venuto apposta.

Sono quasi le quattro, tra poco sarà l'alba. Lei è bella anche adesso, così, spettinata, le braccia al petto per proteggersi dall'umidità, mentre saluta due cameriere amiche sue e poi mi vede. Sembra che vedermi l'abbia sollevata, come una che prima aveva un macigno sullo stomaco e ora una piuma sulla schiena.

Mi arriva incontro saltellando sui gradini del locale, si avvicina alla mia moto, al marciapiede, si avvicina il suo profumo di acqua di rose e muschio bianco. Ha l'aria stanca ma gli occhi non si spengono nemmeno quando li abbassa. La vorrei stringere, farle sentire che sono appena morto anche se lei mi resta viva dentro, invece rimango così, immobile.

Nemmeno la guardo mentre glielo chiedo, fisso un punto indefinito e parlo pianissimo: «Lo so che è tardi, ma mi serve un favore, Love. Mi serve la tua macchina».

Non se l'aspettava, si blocca anche lei e resta qualche secondo con l'espressione stranita.

«E io come ci torno a casa?»

«Con te dentro, intendo. Mi accompagni da una parte e poi ti riporto a casa e me la faccio a piedi.»

«E perché tutto 'sto casino? La tua moto che problema c'ha?».

Non mi controllo, alzo la voce senza volerlo: «Me lo fai o no, 'sto favore?».

Le sue amiche ci passano accanto, salutano lei e fulminano me, non mi sopportano, pensano che le faccio del male. Ma noi le ignoriamo, restiamo a guardarci uno davanti all'altra e il mondo intorno perde colore.

Alla fine sospira. «Parcheggia dietro al locale, porto qui la macchina, intanto.»

«Grazie», metto in moto e faccio come dice.

Lego la moto e il casco e torno indietro di corsa, lei mi aspetta seduta al posto di guida della sua Panda sverniciata col motore acceso e la mano appoggiata sulla portiera, e fuma una sigaretta che sbuca dal vetro.

Apro e la invito a scendere.

«Guido io.»

Non se lo fa ripetere, credo che sia distrutta dalla stanchezza e poi lo so che non le piace farsi dare le indicazioni stradali, quando guida senza direzione va nel pallone. Credo sia un'altra delle poche cose da femmina che ha.

Parto e mi immetto subito sul lungomare, costeggio i locali, le discoteche, stavolta accelero, devo raggiungere lo svincolo per Roma, per arrivare ci vorrà mezz'ora.

Lei mi sta guardando, me li sento addosso quegli occhi da fata ammaliatrice.

«Scusa, ma stiamo uscendo da Fregene, dove andiamo?»

Cerco di non finire in qualche discorso scomodo e prima che mi faccia altre domande, la provoco: «Ma com'è che quello che ti scopi, il tuo barista, non ti è venuto a prendere neanche stasera?».

∞ nessuno muore per sempre ∞Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora