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" C'è qualcosa Che non va 

In questo cielo

C'è qualcuno Che non sa 

Più che ore sono ... "


Me l'accendo. Con lo zippo che illumina la sera. Con le braccia sporte su questa ringhiera arrugginita della scala antincendio. Il fumo mi sale nel naso e poi dentro agli occhi e non lo so se mi lacrimano perché sento che è la fine oppure bruciano e basta.

Mi osservo la sigaretta tra due dita e so che quando sarà arrivata al filtro la lancerò lontano. Non la schiaccio per terra, la faccio volare perché deve svanire intatta. Io non potrò chiedere lo stesso. Oggi finisce tutto e lo so, e vorrei che fosse una fine intatta, non schiantato, a pezzi, ma ancora tutto intero che chiudo gli occhi e me ne vado così, come questa sigaretta.

La lancio e seguo con lo sguardo il suo volo così fugace, un lampo silenzioso.

Non l'ho detto a nessuno che l'ultimatum è scaduto. Avevo un giorno. Ne sono passati quasi due.

Mi comporto come al solito, come uno che ha tutta la vita davanti. Faccio bene, faccio male, non conta. Non devo ferire le persone che mi stanno intorno, che di danni ne ho fatti già troppi.

Ce l'ho fatta una volta, posso farlo ancora: affronterò quelli di Ostia o la camorra, chiunque stia dietro a Gippo e m'abbia fottuto il carico. Lo riporterò intatto a quel mafioso di Marascano oppure glielo restituirò a rate, basta che non mette in mezzo le persone che amo. Io ce la faccio, io ce la posso fare. Non c'è niente che non posso aggiustare. Niente.

Torno in camera e papà è ancora sveglio. Mi decido. Tiro il fiato come una marcia e ingrano la prima:

«Papà, ti volevo dire che prendo il tuo posto alla ditta. Che tu devi riposare.»

E lui apre appena gli occhi e alza la mano con la flebo attaccata: «Bravo».

Tutto qui.

«Bravo e basta?», chiedo.

E lui, «Sì. Bravo e basta».

M'innervosisco. Cerco di controllarmi. Sto zitto. Affondo nella poltrona di pelle graffiata, gambe larghe e braccia stese lungo i braccioli e mi fisso le dita che tamburellano.

Lui riprende: «Che ti volevi sentir dire?».

«Niente».

«Volevi che dicevo di no, che devi fare quello che ti pare?», insiste.

Blocco le dita e abbasso gli occhi, «No. Va bene così.»

E lo sento sospirare forte.

«Perché ti conviene fare così. Perché non c'hai il coraggio di fare quello che vuoi e preferisci fare quello che dico io».

Mi conviene fare il camionista? È impazzito.

Non gli rispondo che sennò scoppio.

Passano un po' di minuti, lo so perché le ombre proiettate attraverso la finestra si sono accorciate.

È di nuovo lui a parlare: «Invece te la dico io una cosa: non ti dovevo aggredire, l'altro giorno. Non c'avevo ragione. È pure colpa mia se sei finito in quel giro a fare quelle cose. Non ci stavo mai a casa, non c'avevi nessuno che ti diceva cosa fare. E pure tua madre che t'ha lasciato che eri un bambino--».

∞ nessuno muore per sempre ∞Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora