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Lo zio fa una frenata brusca a pochi metri dall'ingresso alla casa sulla spiaggia e mi guarda pietoso: «Scendetè! E buona ciorta».

Spero solo che Dondi sia riuscito a portarsi via Gippo che se lo trovano qui lo ammazzano per primo, questi c'hanno una sola filosofia: niente testimoni.

Smontiamo rapidi e non faccio in tempo a chiudere lo sportello che lo zio riparte a razzo sollevando polvere.

Il Gommista si mette una mano sul cappuccio e lo tira via, «Che c'aveva, paura dei siciliani?».

Lo spingo verso la porta, «Non credo proprio, quello è un camorrista. Ma non può farsi vedere, sarebbe conflitto d'interesse, roba simile, questa non è la loro guerra.»

Scosto la porta mezza scassata e mi ritrovo davanti a una sala di palafitte di legno che puzza di chimico e salsedine con due grossi scatoloni sistemati in mezzo, sigillati. Il fragore del mare grosso di stanotte ci investe come un monito, è potente, l'alta marea inizia a salire verso la battigia. Spero che i panetti siano messi come si deve, se hanno fatto casino mi fanno ammazzare prima del previsto. La casa è vuota, menomale, sono riusciti a portare via Gippo.

«Muoviti», faccio arrivare il Gommista fino al centro della stanza e afferro la corda che m'hanno lasciato sopra alla scatola. Gli arrivo alle spalle e agguanto le sue mani.

Lui si agita subito, «Perché mi leghi?».

Faccio girare la corda intorno ai suoi polsi dietro alla schiena e stringo forte, «Nessuno crederebbe che ci sei venuto spontaneamente».

«Sì, però così non mi posso difendere se--»

Uno scricchiolio, qualcosa si muove all'esterno.

«Ssssttt, zitto, sono arrivati.»

Nessuna frenata, gomme che calpestano ghiaia, niente, arrivano in silenzio, ma io so riconoscere qualunque rumore fuori dal coro, ci sono cresciuto in questo posto.

Ansia, terrore. In quest'attesa sorda e muta, insopportabile come l'attimo che precede la sentenza, riesco persino a sentire il suo cuore che scalpita; o è il mio?

Pochi secondi, li conto a mente. Resto fermo e dritto sulla schiena dolorante e cerco di sembrare tranquillo. Il Gommista è alla mia destra e tra noi ci sono le due scatole piazzate a terra.

La porta si scosta piano aperta dalla punta di uno scarpone, e cigola come nel più squallido film dell'orrore.

Il respiro si fa veloce, una cadenza frenetica.

Il primo ad affacciarsi è uno degli uomini grossi e rozzi di Loris, s'infila furtivo, pistola alla mano, e subito ci osserva e si piazza dritto davanti a noi con la mira puntata sulle nostre facce immobili. Dopo che ci ha studiato, si ficca due dita in bocca e fischia forte.

Arrivano altri tre uomini armati e rapidi che si schierano davanti a noi. Uno di loro ha una valigetta di plastica e la poggia a terra. Sento rumori alle spalle, qualcuno deve essersi appostato sul retro. Nessuno fa un fiato, ora io e il Gommista siamo sotto tiro, abbiamo addosso quattro mirini di precisione.

L'attesa è terribile, e solo dopo alcuni minuti la porta si spalanca con un verso agonico. È arrivato Pino Loris, vespa modificata.

Cammina disinvolto in mezzo ai suoi uomini, le mani libere e affondate nelle tasche, la barba incolta e la testa calva che brilla di sudore. Sembra nervoso.

Parla senza guardarci, «L'appuntamento era per domani sera al faro di Fiumicino, haju credere che ci hai messo la metà del tempo a far tutto? Se mi stai fregando ammazzo tutta a to famiglia.»

∞ nessuno muore per sempre ∞Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora