4 IL CIRCENSE

154 5 0
                                    

Mentre correva il binocolo gli sbatacchiava sullo sterno. Ma sopportava.

Gli stivali erano infangati e, certe volte, rischiava di scivolare. Ma sopportava.

Era abbastanza agile e atletico, dato il mestiere di circense che faceva prima di arruolarsi. Prima di essere promosso a sergente.

Il sergente di fanteria si gettò a terra in quel campo di sterpaglie - uno scricchiolio, forse gli stivali - e guardò per bene a qualche centinaio di metri.

Movimenti di truppe in divisa marrone e bustine con la Stella Rossa.

Ach, comunisti.

Fece un gesto a destra, poi a sinistra.

I suoi soldati si misero in posizione.

Il sergente ripose accanto la MP34 Bergmann e guardò al binocolo.

Teufel!, si era rotto. Ecco quello scricchiolio, non gli stivali nuovi. E dire che, date le ristrettezze economiche della Germania, molte cose, adesso, erano vecchie e di seconda mano.

Ma il sergente non se ne curò. Quelle scomodità erano un motivo in più per battersi contro i sovietici.

Le operazioni in Russia erano iniziate da pochi giorni e il sergente aveva già ucciso un centinaio di quei mostri senzadio.

E ora i mostri senzadio gli si stavano avvicinando, i Mosin Nagant con le baionette brillanti al sole. Sembravano usciti dalla Grande Guerra.

«Ssst». Il sergente e prese la Lüger 9 millimetri dallo stivale sinistro.

I soldati nemici erano ancora più vicini.

Una cinquantina di metri.

Quaranta metri.

Trenta.

Venti.

Ma i sovietici non vedevano i tedeschi?

Il sergente sparò un colpo a quello che sembrava un sergente anziano che cadde fulminato, un breve urlo.

I soldati sovietici furono veloci. Si gettarono a terra.

Il sergente afferrò la MP34 Bergmann e iniziò a falciare il prato.

MP34 Bergmann, pistole mitragliatrici, contro dei fuciletti usciti dalla Grande Guerra.

Ma i soldati russi strisciarono e gli furono addosso.

Il sergente ne crivellò uno a bruciapelo, poi mise mano alla Lüger e alla baionetta. Ghignò allo sparare alla tempia di uno, la bustina che gli scivolò di testa come la vita dagli occhi, e usò il pugnale per scannarne un altro.

Il sergente si diede a evoluzioni e si destreggiò come una carambola di morte, tanti schizzi di sangue.

I soldati russi erano magrissimi. E poi, quelle facce slave, brutte...

Il sergente si stava concentrando nel macellare un paio di soldatini russi e, l'istinto, gli suggerì di girarsi. «No!» latrò.

Un soldato sovietico gli aveva afferrato l'MP34 Bergmann.

Fabbricata dagli austriaci della Waffen fabrik Steyr, peso di quasi quattro chili e mezzo, quell'arma non poteva essere imbracciata da un individuo tanto disprezzabile.

Ma sembrava saperla usare.

Il sergente gli puntò contro la Lüger.

Ma non sparava più. Era scarica, maledizione!

La faccia da slavo fu solcata da un sorriso.

E gli altri soldati tedeschi? Sembravano troppo occupati.

La baionetta guizzò e la gola fu squarciata, il sangue che fuoriuscì a fiotti.

Meno male che il sergente era un maestro nel lancio di coltelli, eredità del passato lavoro al circo.

Riprese la MP34 e tornò a combattere perché c'era un paese da conquistare.

La Seconda Guerra Mondiale in racconti Capitolo 1 GermaniaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora