12 LA PISTOLA

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«Benedetta primavera. Da adesso, la temperatura ci sarà più grata» disse il sottotenente.

«Sì, ma ci stiamo ritirando lo stesso» rispose il soldato.

Il sottotenente si pulì gli occhiali della polvere. «Siamo qui, a Orël. Da qui partirà il nostro contrattacco. Sono fiducioso».

«Lo vorrei essere anch'io».

«Orël. Significa Aquila, in russo. Questa città fu fondata da Ivan in Terribile. Penso che, dato che siamo qua, l'abbiamo liberata. Da adesso, Orël sarà una città più bella».

«Dice?». Il soldato indicò le macerie, gli edifici ridotti in ruderi, la popolazione civile che moriva di fame. Erano una buona metà i cadaveri di morti di inedia; l'altra metà per gli effetti diretti della guerra.

«Sì, ne sono certo». Il sottotenente si congedò da quel soldato, stizzito.

«Ebbene, sottotenente, come va?» gli chiese un capitano.

«Bene, bene, signore». Il sottotenente adesso era nel circolo ufficiali del reggimento di fanteria e pensò a quel soldato. Lo trovava sfiduciato, disfattista. Un codardo, un traditore pronto alla diserzione. Quel soldato era solo un peso per l'Heer e le truppe di stanza in Russia. Era colpa sua se, a Mosca, le forze dell'Asse erano state respinte. Necessitava di una lezione.

Ma come?

Il sottotenente guardò quella sequela di armi: c'era una Lüger P08, una Walther P38, e poi una Mauser Hsc da 7,65 millimetri, una Walther PP e un'altra Walther PPK, infine una Sauer M38.

«Chiedo scusa». Il sottotenente si rivolse all'armiere.

«Sì, mi dica, signore». L'armiere lo guardò dopo aver abbassato il giornale che stava leggendo.

«Vorrei quella Walther PPK».

«Perché, signore?».

«La mia Lüger P08 non va, e sai, se i banditi mi fermano, io che faccio?».

«Oh, sì. Dipendesse da me gliela consegnerei subito. Ma sa, tutte queste sono da esposizione per gli ufficiali. Sono per bellezza».

«E infatti io sono un ufficiale». Il sottotenente mostrò le spalline.

«Sì...». L'armiere non sembrava convinto. «Avrebbe bisogno del permesso del capitano».

«Glielo dico io dopo. Adesso il capitano non c'è».

L'armiere sospirò rassegnato. «D'accordo. Questa è la chiave della vetrinetta».

«Non te ne pentirai». Il sottotenente, tempo neanche un minuto, prese la PPK. Restituì la chiave.

«Questo è il caricatore. Prismatico. Nove colpi». L'armiere sembrava nervoso.

«Me li farò bastare». Il sottotenente, canticchiando, uscì dal circolo ufficiali. Di sfuggita vide l'armiere scuotere la testa.

Il soldato era lì, a parlare con alcuni commilitoni.

Il sottotenente lo chiamò.

«Sì? Oh, signore. Sì, cosa vuole?».

«Vieni con me. Ho da discutere qualcosa con te».

«Come mi ordina».

Svoltarono un angolo, non c'era nessuno. Il sottotenente prese la Walther PPK e tolse la sicura.

Il soldato grugnì.

«Eh, sì».

«Sottotenente!».

Stavolta fu il sottotenente a grugnire.

«Perché ha preso quella Walther PPK? Era da esposizione». Era il capitano, arrivò a grossi passi. Sembrava un gallo cedrone.

«Ecco... be'... perché...» balbettò il sottotenente.

«Me la restituisca» gli impose il capitano.

Il sottotenente fu obbediente.

Il capitano prese l'arma e, disattento, premette il grilletto. Urlò, si era ferito a un piede.

«Uh, accidenti!» latrò il soldato. E corse a chiamare soccorsi.

Il sottotenente era mortificato: non aveva giustiziato un potenziale disertore, ma il suo superiore si era ferito, ma da solo, il sottotenente non aveva colpa. Ma avrebbe passato seri guai.

Maledizione!

La Seconda Guerra Mondiale in racconti Capitolo 1 GermaniaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora