19 LA SPOCCHIA DEL TENENTE DELL'AERONAUTICA

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Jagdgeschwander 52. C'era di che essere fieri per essere parte di un simile reparto della Luftwaffe. Per questo, il tenente camminava come se fosse sulle nuvole: sopra tutti, a guardare chiunque dall'alto in basso. Soprattutto quelli della Wermacht perché loro erano sporchi di fango, strisciavano per terra, soffrivano il freddo. Lui, con il suo aereo, nulla affatto dato che volava, mitragliava dal cielo i comunisti.

«Ah, questa spocchia gli si ritorcerà contro» aveva sentenziato un caporal maggiore.

Ma chi si credeva di essere? Un indovino? Quelli come lui, gli zingari, venivano mandati via. Accolta quella dichiarazione, il tenente l'accettò e soprassedette. Tanto, quel misero fantaccino, avrebbe fatto una brutta fine. Lui, al massimo, sarebbe morto subito in cielo. Nessuna agonia, ma solo una morte gloriosa.

Prese quindi il taccuino e si segnò qualcosa per ricordare quell'aprile del 1944, lì nel sud della Russia.

«Achtung, achtung, stanno arrivando».

Il tenente sentì quell'affermazione con un tremito. Doveva andarsene di lì.

Ma alcuni soldati gli vennero incontro.

Un caporal maggiore - lo stesso? - gli disse: «Tenente, ci aiuti».

«Ma... ma...».

Gli diedero in mano una MP40. «La saprà usare, no?».

«Ma certo!» disse il tenente, anche se non ne era sicuro.

«Venga con noi».

Non era possibile. Lui, tenente dello Jagdgeschwander 52, trattato come un fantaccino.

Corsero tutti, sollevando schizzi di fango. Si schiaffarono in una trincea.

Giunsero i comunisti, più un'ondata umana.

«Achtung, achtung! Feuer!».

Le raffiche tempestarono i ranghi sciolti dell'ondata umana.

Comunisti ridotti in polpette, le teste spaccate, gli arti strappati dai tronchi.

Il tenente ne fu colpito: non si era mai avveduto di quel che potevano fare le raffiche. Lui, dall'abitacolo, vedeva di sfuggita qualcosa per poi andarsene e sparare altrove. Era sempre più impressionato.

La tempesta di piombo continuò a colpire quei soldati mentre il caporal maggiore e gli altri erano freddi come macchine.

Il tenente era abituato a usare il motore del proprio caccia, le ali, la coda, le mitragliatrici. Quegli uomini erano come macchine. Di morte.

L'attacco finì e il tenente si alzò in piedi. Si scrollò il fango dalla bella divisa calda. «Non lo sapevo... non sapevo di tutta questa brutalità. Io...».

«Ci restituisca l'MP40, per favore» lo invitò il caporal maggiore.

«Certo. Io...».

Un ultimo proiettile detonò dalle fila dei russi agonizzanti e il tenente sentì un gran dolore alla tempia.

«Non... lo sapevo...». Il tenente cadde a terra, gli occhi vitrei e la tempia rotta da una pallottola.

La Seconda Guerra Mondiale in racconti Capitolo 1 GermaniaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora