34 UN DUELLO

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Gli stivali picchiavano il terreno e le cartucce della pistola di segnalazione si agitavano, pur non staccandosi. Tutti gli cedevano il passo, tutti gli tributavano rispetto con il saluto militare e con sorrisi di circostanza, gentilezza e, perché no, adulazione. Il capitano era felicissimo. Sul suo diario aveva appena segnato tutto. Quel 12 marzo del 1942 era per lui un giorno irripetibile; ma che, se avesse potuto, l'avrebbe ripetuto volentieri. Lui, capitano della Luftwaffe, con all'attivo ottantadue abbattimenti, era appena stato decorato della Croce di Cavaliere. Dopo la Croce di Ferro, un'onorificenza importantissima. Era ottimo, era perfetto. E camminava con sguardo alto, sorriso altero. Rispondeva al saluto di tutti, per tutti aveva una buona parola. Ma poi si bloccò. «Tu?».

«Sì, io» sorrise, quello. Era più un ghigno.

«Non ci credo... pure tu?».

«Perché no!».

Il capitano non sapeva cosa dire. Balbettò.

L'altro capitano, i capelli neri, fece un ghigno di superiorità. «Cosa credevi? Che la Croce di Cavaliere fosse riservata solo a te?».

Balbettò ancora, ormai fuori controllo.

«E piantala di parlare come un bambino» lo rimproverò con severità il moro. «Non sei degno della tua medaglia».

«Come osi?». La rabbia montante l'aveva fatto diventare più lucido.

«Dico solo quel che penso».

«Sì, ma non puoi dire che non la merito».

«E io ti ripeto che dico quel che penso lo stesso. O vuoi negarmelo?». il sorriso gli si allargò.

«Sei proprio maligno» constatò il capitano.

«Ah». Il moro quasi sbadigliò.

«E hai detto cose inaudite» sibilò.

«C'è un qualche regolamento che me lo vieta?».

«Il rispetto per gli altri».

«Per gli altri, infatti». Gli occhi gli si accesero di malvagità. «Non per te».

«Ora basta» sentenziò deciso il capitano.

«Che cosa vuoi dire?». Per una volta, il moro tornò serio.

«Le tue offese sono troppo esagerate. Ti sfido a duello».

«Ah, come i cavalieri di una volta».

«Siamo ancora cavalieri. Almeno, per quel che mi riguarda, io. Tu... non so».

«Accetto la sfida».

«Subito».

«Volentieri».

Uscirono fuori dalla caserma e il bel cielo d'Ucraina li salutò. Il sole freddo di fine inverno, la neve che alimentava pozzanghere e gli apparecchi disposti nelle aviorimesse. «Con la pistola».

«Perfetto» disse l'altro capitano, il rivale.

Si disposero a dieci metri di distanza e si guardarono.

Un momento.

Estrassero le pistole.

Il capitano aveva la pistola di segnalazione.

La pallottola dell'altro capitano guizzò.

Il razzo di segnalazione si mise a sfrigolare.

Il capitano si gettò a terra.

L'altro, fu colpito al ventre dal razzo che esplose in tanti schizzi di sangue.

Il rivale era morto.

La Seconda Guerra Mondiale in racconti Capitolo 1 GermaniaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora