9 IL COLONNELLO COMANDA, L'AIUTANTE... OBBEDISCE?

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Aprile, dolce primavera. Ma il freddo permaneva.

Il primo anno di invasione non era giunto al termine e già le truppe dell'operazione Barbarossa avevano affrontato il gelo invernale.

L'aiutante del reggimento d'artiglieria d'assalto si sistemò la bustina e, si disse, che di lì a poche settimane sarebbero arrivate temperature più gradevoli.

Quel freddo... Era stato abominevole.

Molti soldati erano stati ricoverati per polmonite e, per continuare a combattere, tutti gli altri si erano arrangiati a riempirsi le divise di paglia e fogli di giornale.

L'aiutante aveva letto su uno di quei fogli che la vittoria era vicina.

Lui era a Smolensk, poco dopo la Bielorussia. Quell'inverno, si era ritrovato vicino a Mosca. Ma, assieme al resto del reggimento, era stato respinto.

Si continuava a parlare tanto della vittoria, ma non solo Mosca non era caduta, ma restava un territorio sterminato da conquistare.

«Attendente, a me!».

«Eccomi, signor colonnello».

L'alto ufficiale stava fumando su una sedia accanto alla porta di un'abitazione privata, una famiglia russa che tremava. «Mi serve questo appartamento».

«Dispongo subito lo sgombero dell'appartamento».

«Sì, ovvio. E questi civili... voglio che siano fucilati».

L'aiutante li ponderò con lo sguardo. Padre, madre e tre figli piccoli. Una famiglia di operai. «E perché, signor colonnello?».

«Sono esseri inferiori, indegni di vivere».

«Mi sembra immotivato. Non possiamo certo sterminarli tutti. Se uccidiamo costoro, molti altri si ribelleranno».

«Ho detto che li voglio morti».

«Come vuole, signor colonnello». Quel tono categorico era meglio non contraddirlo, pensò l'aiutante.

In quel momento arrivarono degli artiglieri e il colonnello gioì. «Ecco il plotone d'esecuzione. Voglio questi russi al muro».

«Come vuole, signor colonnello».

«Sovrintenda lei alla fucilazione».

«Agli ordini».

«Io mi voglio godere un po' di tepore». Il colonnello bestemmiò. «Questo inverno... che freddo!».

L'aiutante condusse la famiglia e il plotone d'esecuzione a poche centinaia di metri da casa loro e li guardò. I soldati sembravano degli automi, i civili, invece, parevano aver capito e masticavano parole incomprensibili. Chiese loro, dunque: «Parlate tedesco? Tedesco?».

«Un poco» rispose la madre.

«Andatevene. Il mio comandante vi vuole morti per un capriccio, ma io non sono un assassino: sono un soldato». L'aiutante gonfiò il petto, aveva il tono fiero.

Ma madre accolse quelle parole come stordita.

«Hai capito cosa ho detto?». Adesso il tono dell'aiutante era sbrigativo.

«Da, da. Ci liberi, non ci vuoi uccidere».

«È questo. E ora andate. Immagino saprete a chi rivolgervi». L'aiutante realizzò con un gozzo in gola che stava disobbedendo.

I civili russi scapparono, gli occhi spaventati.

«Ma... noi?» domandò un caporale del plotone d'esecuzione.

«Tacete. E se il colonnello sa qualcosa, non avrò la stessa pietà che ho avuto per loro». L'aiutante fece un'occhiata truce.

La Seconda Guerra Mondiale in racconti Capitolo 1 GermaniaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora