2 UNA DURA GUERRA

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Stava mangiando pigro la razione in gavetta. Il basco da carrista era riposto sul tavolino da campo.

«Maresciallo capo...».

L'interpellato alzò lo sguardo con lentezza. Non era in azione, quindi un po' di indolenza era scusabile. «Che vuoi?».

«Mi può raccontare la storia della sua Croce di ferro?». Il ragazzo sorrideva.

«L'ho guadagnata in Polonia, l'anno scorso. Il Panzer Pz IV che guidavo ha distrutto di fila cinque carrette polacche. In meno di un minuto».

«Straordinario!». Il basco cadde di mano al ragazzo. Si chinò per riprenderlo.

«Ricordati che con i polacchi era facile. Qui in occidente, un po' meno. Ma ci stiamo dando da fare».

«Questi francesi... ci hanno umiliato fin troppe volte. Meritano quel che gli stiamo facendo» disse con rabbia il ragazzo, un carrista semplice di un altro equipaggio.

«Certo, certo». Il maresciallo capo tornò a concentrarsi sulla gavetta. Insomma, seppur possedesse quel grado la sbobba non era migliore di quando era carrista del nascente Heer prima delle invasioni di Cecoslovacchia, Austria e Polonia.

«Ma è un conflitto mondiale, questo?». Il ragazzo, ancora in piedi, era davanti a lui. Come un questuante.

«Chiedilo al Führer e a Chamberlain. Io ho un solo mondo: questo». Il maresciallo capo diede una pacca al Panzer Pz IV che comandava.

Primo reggimento Panzer, due battaglioni da quattro compagnie; ogni compagnia: trentadue carri. C'erano i Pz I e i Pz II più leggeri. Ma anche i Pz III e i Pz IV pesanti. Perché sì, con i francesi bisognava andare con durezza.

«Capisco». Ma il ragazzo non sembrava convinto, prese a girare avanti e indietro.

Il maresciallo capo non aveva voglia di chiedergli di stare fermo. Non lo infastidiva più di tanto era la visione dei Panzer in fiamme a infastidirlo più che altro. Ma erano pochi, per fortuna. Ma le truppe anglo-francesi si sapevano dar da fare. Di più dei polacchi. E continuò a mangiare la sbobba. Quando la finì, pulì con il cucchiaio le curvature della gavetta. La sbobba era orrenda, ma sostanziosa e il maresciallo capo si sentiva più forte dopo quei pasti.

«Achtung, achtung! Incursione aerea imminente!» urlò un ufficiale.

Il maresciallo capo scattò in piedi rovesciando tavolino da campo e gavetta e abbaiò ordini.

L'equipaggio gli si radunò intorno e tutti salirono a bordo del Pz IV.

Lui era capocarro e prese la MG34 da 7,92 millimetri e la orientò in direzione dell'aquilotto in avvicinamento.

L'aquilotto era un Arsenal VG33, monomotore ad ala bassa.

Ce n'erano altri, intorno; un numero difficile da quantificare.

Ma il maresciallo capo aveva puntato il suo Arsenal VG-33 e sparò una raffica, l'MG34 che vibrò.

Attorno, altri crepitii.

Ci si dava da fare.

«Maresciallo capo, maresciallo capo...».

«Non ora!».

Si trattava di quel fastidioso ragazzo. Ma non aveva un proprio equipaggio? Forse era quello del Panzer Pz III appena ridotto a una scatola in fiamme.

Sparò nuove raffiche il maresciallo capo e gli Arsenal VG-33 continuavano a girare e sparare.

Il maresciallo capo abbassò lo sguardo per un istante.

Quel ragazzo era in terra, sull'erba, il basco in mano e la divisa nera sporca di sangue.

Non si muoveva.

Quella guerra sarebbe stata molto più dura di quel che si pensava, giudicò il maresciallo.

La Seconda Guerra Mondiale in racconti Capitolo 1 GermaniaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora