21 IL TICCHETTIO

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Divisione Das Reich, fronte dell'Est. Waffen SS orgogliosi di essere ariani e di combattere il comunismo sotto la guida del Führer.

Ma in quel momento, fra le nevi di fine inverno, non si capiva cos'era quel ticchettio.

Il soldato di seconda classe si confondeva.

Tutti si confondevano con quei ticchettii su ticchettii. Ma erano spari? O forse i denti che battevano per il freddo? Il suono era uguale, e il soldato di seconda classe si stava innervosendo per tutte quelle distrazioni inutili. Che quel suono fosse il battere dei denti o il battere dei percussori era la stessa cosa. Stava per arrabbiarsi e voleva arrabbiarsi, ma si trattenne perché lui stesso batteva i denti e non riusciva a bloccare quella reazione.

«Ehi, piuttosto che stare fermi, muoviamoci!» affermò il sottufficiale.

«È una parola, sergente. Questa neve... è difficile camminare. La neve è troppo profonda e si fa uno sforzo bestiale per far uscire i piedi» disse un altro soldato, il tono indolente.

«Pensiamo a camminare, invece che a lamentarci» latrò il soldato di seconda classe. E decise di dare l'esempio facendosi avanti, ma già dopo un metro di marcia si mise ad ansimare.

Il sergente sbottò: «Siamo qui a combattere il comunismo. Vogliamo far vedere ai russi, agli slavi, che non ce la facciamo? Seguitemi!». Prese a marciare.

Tutti lo guardarono.

Non sembrava stanco né dopo un metro di cammino, né tanto meno due o tre.

Più rincuorati, i soldati lo seguirono.

Waffen SS, macchie nere sulla neve, più nere delle stesse ombre che proiettavano.

Il sole c'era, ma non scaldava.

Proseguirono la marcia.

«Un momento» disse il soldato che prima aveva parlato.

«Cosa c'è?» gli chiesero all'unisono il sergente e il soldato di seconda classe.

«Mi è parso di vedere qualcosa muoversi». Adesso il camerata si era fermato.

«Se è un alibi per bloccare la marcia...» iniziò il sergente, rosso in volto.

«No che non lo è».

«Cosa avresti visto?» gli domandò più tranquillo il soldato di seconda classe.

«Un movimento».

«Dove?».

«Nella neve».

Fece un gesto di frustrazione, il soldato di seconda classe. «Dove? La neve è dappertutto».

«Lì, da qualche parte».

«Sii più preciso» lo pregò il soldato di seconda classe.

«Oh, sentite, siamo nel 1942 e non abbiamo ancora sgominato il pericolo bolscevico. Se restiamo qui a perdere tempo sui movimenti strani, che esistano o no, non vinceremo mai il comunismo» sbraitò il sergente, la voce che risuonò nell'aria invernale.

«Giusto, giusto» belò il resto del plotone.

«E ora in marcia, forza!».

Obbedirono tutti.

«Mah...». Quel soldato espresse perplessità.

«Un momento!» abbaiò il soldato di seconda classe. Si gettò sulla neve.

«Cosa c'è?». Il sergente era ancora più seccato.

Fra quel ticchettio persistente ce ne fu uno mortale.

Una fiammata di sparo e il sergente cadde a terra, la testa spappolata.

Erano russi, indossavano le mimetiche invernali.

E loro, i tedeschi, erano in nero.

Waffen SS in uniforme nera, Waffen SS in combattimento.

Da un lato gli MP40, dall'altro i PPSh-41, si scatenò la battaglia e la sequela di ticchettii fu intercalata da urla, invocazioni, ordini a squarciagola...

La Seconda Guerra Mondiale in racconti Capitolo 1 GermaniaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora