«Hermann Göring, un vero uomo».
«È vero, signore».
«Un eroe della Grande Guerra e ora una grande personalità del Partito che ha fatto grande la nostra amata Germania».
«È vero, signore».
Quella carogna del tenente lo guardò malevolo. «Lui è maresciallo dell'aria. E tu?». Gli puntò contro il dito, come se lo volesse trafiggere.
«Maresciallo capo».
«Della divisione Panzer della Luftwaffe intitolata a lui, Hermann Goering».
«È vero, signore».
Si mise i pugni sui fianchi e gonfio il petto. «Cosa intendi fare, maresciallo capo?».
«Marciare e combattere».
«Perché siamo a Mareth, qui in nord Africa?». Il tono era spocchioso, pieno di supponenza, desideroso di opposizioni.
Ma il maresciallo capo sapeva essere saggio e quindi non raccoglieva di prassi le provocazioni. «Difendere i nostri interessi. La nostra divisione è pregevole e in questo periodo, marzo 1943, dobbiamo respingere gli alleati che, ormai, stanno dilagando in tutta la regione».
Scosse la testa. Ma sorrise. «Male, male. Disfattista, eh?».
«Non è disfattismo, signore. È solo una constatazione. Amara, ma rimane pur sempre una constatazione».
Il tenente non la finiva di avere quel sorriso da serpente. «Maresciallo capo, sta' di guardia. Fra otto ore verrà il cambio». Lo scrutò per bene. In cerca di protesta? Una reazione a quell'angheria?
Il maresciallo capo rimase imperscrutabile.
Il tenente andò via, bofonchiando.
Il maresciallo capo restò invece a fare da sentinella alla postazione della compagnia. Poteva chiamare un soldatino e ordinargli di prendere il suo posto, ma non se la sentì. Se il tenente era stato con lui prepotente, non era giusto che si comportasse allo stesso modo e doveva sopportare.
Tutto ciò solo perché, il giorno in cui quel nuovo tenente era arrivato, il maresciallo capo aveva fatto il saluto militare anziché quello nazista.
E quel dì, il tenente aveva iniziato con un pistolotto che non finiva più.
Ma perché non andava nelle Waffen SS, che lì erano più indottrinati? Quella era la Luftwaffe e, seppur fossero in una unità intitolata a un gerarca nazista, restava parte della Wermacht.
«Altolà, chi va là?». Il maresciallo capo spianò l'MP40.
Quello non rispose e avanzò.
Il maresciallo capo sgranò una raffica.
Quello urlò e disse qualcosa, ma senza accento britannico, francese o americano. Era tedesco.
Il maresciallo capo impallidì e si sentì le gambe molli. In quell'istante, sarebbe volentieri sprofondato.
«Che succede? Che succede?». Arrivò il tenente con altri soldati. Passarono oltre il maresciallo capo, che era indeciso se scappare, spararsi o dire tutto.
Il tenente rimase spaventato. «Il capitano. Morto».
Tutti bisbigliarono impressionati.
La smorfia del tenente diventò un sorriso di trionfo. «Lo hai ucciso tu!». Ancora quel dito, come se lo volesse trafiggere.
«N-no».
«Non mentire! L'ho sempre pensato che, non essendo un bravo nazista, non saresti mai stato un bravo soldato».
«N-no...». Il maresciallo capo era nel panico più assoluto.
«Sei agli arresti. Poi, vedremo cosa fare di te?».
Che cosa poteva fare se non arrendersi e farsi trascinare dagli eventi? Il maresciallo capo consegnò l'MP40 a dei soldati imbarazzati, mentre il tenente esplodeva in una risata malvagia.
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La Seconda Guerra Mondiale in racconti Capitolo 1 Germania
Short StoryQuarantasette racconti brevi sulla Germania nella Seconda Guerra Mondiale, ognuno tratto da un'illustrazione di un libro sulle uniformi del conflitto.