27 IL GAGÀ

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C'era bel tempo, in quel giorno di agosto. Il cielo era sgombro di nubi e il sole picchiava forte.

L'aiutante capo girava per il quartiere militare dandosi arie da sciupafemmine. In effetti, con le scarpe, il berretto e i pantaloni bianchi, più la giacca grigia e la daga che gli pendeva dalla vita, era proprio un figurino. Si tolse i guanti lattei e si sedette al bar.

«Il solito?» domandò il barista, un sorriso di cortesia.

«Il solito» confermò l'aiutante capo.

Il barista lo servì al tavolo. «Ecco qua, signore».

«Sì, sì, sul solito conto. Ma dimmi...».

«Mi dica». Adesso il barista era proprio un lacchè.

«Come mai tutta questa operosità? In Spagna abbiamo trionfato e le ultime annessioni non hanno causato nessun disastro».

«Non lo sa?».

«Cosa, di grazia?».

«Lo sanno tutti, ma nessuno lo dice ad alta voce». Il barista si guardò intorno, come se qualcuno lo stesse ascoltando.

«Ma cosa?» lo esortò l'aiutante capo, sorseggiando un po' la birra.

«La guerra, signore». Lo disse con grande angoscia.

«La guerra?». L'aiutante capo rise. «La guerra? E allora? I fantaccini andranno a marciare nel fango, i piloti sfideranno qualche aviazione sprovvista di buoni aerei, i carri armati cannoneggeranno il nemico. E io? Io me ne starò qui a Berlino, ad abbronzarmi. L'unico pericolo sarà una probabile scottatura. Noi della contraerea di stanza qua nella capitale del Reich non faremo molto». Rise ancora, sempre più divertito.

Il barista, nella sua giacca bianca, non sembrava tanto ottimista. «A quanto ho sentito, Francia e Inghilterra non saranno propense a tacere ancora. Il nostro capo sta un po' calcando la mano».

«L'Inghilterra? Con Chamberlain, non farà nulla. La Francia? Ce la mangeremo in un sol boccone, se oserà dichiararci guerra. E i comunisti, poi, hai sentito? Abbiamo firmato un patto. Non succederà nulla, ti dico».

«Sa, ho fatto un sogno».

«Cambi discorso?». L'aiutante capo fu arrogante.

«Ho sognato la terra di Germania percorsa da tante aquile che lanciavano pietre. Ed erano tante, sia le aquile che le pietre».

«Rivolgiti a qualche buon psichiatra». L'aiutante capo bevve la birra, un sorriso sfacciato.

«Non la farei così semplice».

«Io invece sì. Faremo altre guerre... forse tu sarai trasferito, ma io resterò qui e nessuno toccherà Berlino. Aquile con i sassi?». L'aiutante capo represse una risata di scherno. In fondo il barista non meritava tutta quella derisione, ma se parlava di sogni assurdi...

«Forse ha ragione» disse in tono servile il barista. Se ne andò.

Era proprio una bella giornata e sembrava che l'estate non sarebbe mai finita.

L'aiutante capo dell'artiglieria antiaerea si rilassò.

La Seconda Guerra Mondiale in racconti Capitolo 1 GermaniaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora