Capitolo cinque.

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"Chi vive senza follia non è poi
così saggio come crede."
François de La Rochefouc

"Ragazzi sono a casa!" urlo per poi sfilare la chiave dalla porta di entrata.
Corro su per le scale ed entro subito in camera mia, decisa ad indossare qualcosa di comodo e a riposare un po'.
Questo primo giorno di scuola è stato... intenso.

Mi privo degli indumenti che coprivano il mio corpo mettendoli nella cesta del bucato e indosso il mio comodo e caldo pigiama, sbadigliando.
Esso consiste in un semplice pantaloncino grigio e una t-shirt oversize rubata a mio fratello.

Stanotte ho dormito poco e niente, inoltre oggi
ho sprecato molte energie: mi merito un pisolino.

Mi lego i capelli in una coda morbida ed esco fuori al balcone, un pacchetto intero di sigarette tra le mani, accomodandomi poi sull'altalena a goccia.
Mi dondolo leggermente col piede, rivolgendo la mia intera attenzione sul cielo sopra di me, prendendo il primo tiro della sigaretta.

Osservo il suo tingersi di arancione con un sorriso sulle labbra.
Penso a quanto quella distesa infinita sembri la tela di un pittore che, arrivata la sera, dipinge gli scenari più belli sull'azzurro del cielo.

Porto nuovamente la sigaretta alle labbra, facendo un tiro bello lungo, mentre la mia mente rovina il momento, riportando a galla pensieri che avrei preferito mantenere sigillati nella parte piú remota del mio cervello.

Una piccola e sola lacrima solca il mio viso, come una goccia di pioggia fredda, ma io mi affretto ad asciugarla con la manica della felpa.

Non piangerai, Alyiah.
Sei più forte di tutto quello che ti fa male.

Un trillo acuto squarcia il silenzio, facendomi trasalire dai miei pensieri.
Il campanello.
Credo si tratti di Matthew, gli avevo detto di venire qui per dargli una mano.

Aiutarlo non mi porta altro che profitti, siccome una volta fatto sarà in debito con me.
Lo faccio solo per questo, non ho interesse a fare del bene.

Scendo le scale di corsa, volendo porre velocemente fine alla tortura della sua presenza,  aprendo subito la porta.
Mi sorride tra i lividi, fermandosi a osservare languidamente il mio corpo coperto dal quel pigiama di cortesia.

"Che mi guardi a fare?" lo rimbecco, girandomi subito.
Salgo al piano di sopra senza nemmeno aspettare una sua risposta, sbuffando.
Già m'innervosisce.

Lo faccio sedere sul water del mio bagno privato e prendo la cassetta medica appesa al muro.
"Farà male e io non sarò lenta per questo. Stringi i denti e sopporta, devo pulire le ferite e poi puoi andare, chiaro?" lo guardo annuire e mi rigiro a preparare tutto ciò che mi serve, per poi riempire un fiocco di ovatta con il disinfettante.

"Puoi fermarmi se proprio non ce la fai più, va bene?" sussurro, dopo avergli alzato il capo verso di me.

Sento il suo respiro battermi sul petto, è imbarazzante!

Premo il batuffolo sulla ferita con una delicatezza che solitamente non mi appartiene, soffiando leggermente su di questa nel momento in cui lo sento mugolare dal dolore, provando ad alleviarlo un pochino.
"Resisti, durerà poco. È per il tuo bene." lo rassicuro senza pensarci, completamente concentrata a sistemare le sue ferite.
Procedo velocemente, incurante del dolore che gli causo.

Dopo aver pulito per bene la ferita sulla guancia butto il primo batuffolo, sporco di sangue, e ripeto il procedimento con un altro di quelli, destinato a pulire e disinfettare la ferita sul labbro.

"Dove hai imparato a medicare i tagli così bene? " mormora improvvisamente osservando i miei gesti quasi meccanici.
Non ha detto nulla fino ad ora e mi chiede proprio questo?
Che strano, Matthew che fa silenzio.

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