Capitolo trentasei.

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"Ama il tuo sogno
se pur ti tormenta"
-Gabriele D'Annunzio

ALYIAH'S POV

"Il mio obbiettivo era uno solo: portare a termine la mia missione.
Mi muovevo furtivamente per i corridoi, all'erta, decisa ad evitare ogni tipo di effetto sorpresa.
Quello che non sapevo è che, di li a poco, le luci si sarebbero spente, lasciandomi nel buio più totale.
La tuta sembró stringere sempre di più sul mio corpo, soffocandomi lentamente.
Mozzandomi il respiro.

Un gemito strozzato riempí il silenzio assordante di questo corridoio, ma non provenne da me.
Si accese un'unica e sola luce, rivolta ad un solo punto preciso, come un riflettore puntato su di un attore in scena.

Un liquido vermiglio scorse sulle mattonelle candide, la lama di un coltello da caccia conficcata nel pavimento a separare il flusso.
La mano trovó subito la cicatrice pulsante sulla parte bassa della schiena, alla vista di tutto quel sangue e di quell'arma maledetta.

Il mio corpo fu mosso da infiniti tremiti, mentre cercai d'immettere disperatamente aria pulita nei polmoni.
La luce si rispense per qualche secondo, la paura si fece largo in me.

La luce tornó in poco, ma tutto era sparito.
Il sangue, il coltello, non c'era più nulla.
Sussultai.
Urla maschili agonizzanti, quella voce che mi dà la caccia da anni.

Le mie gambe si mossero da sole, corsero verso colui che urlava così sguaiatamente.
Il cuore sbattè violentemente contro la cassa toracica, alla disperata ricerca del permesso di uscire da essa.

Fuoco.
Venni bloccata da lingue di fuoco desiderose di acciuffarmi.
Lingue di fuoco che custodivano la voce della loro povera vittima urlante, mentre il suo intero corpo si scioglieva.

Agonizzava, quella persona agonizzava e io non potetti fare nulla se non urlare con lui.
Piangere.
Disperarmi nel riconoscere lo splendido volto adornato dal dolore.

"No!" riuscii solamente a dire quando le urla terminarono, in ginocchio alla vista di quella scena.
Inondata dai sensi di colpa più puri."

***

MATTHEW'S POV.

Poggio la ragazza sul suo letto, sfilandole i tacchi con una delicatezza che non pensavo di conoscere, sperando che non si svegli.
Cerco di metterla più comoda possibile, nonostante il vestito succinto, mentre le rimbocco le coperte.

Un sospiro abbandona le mie labbra alla vista della sua espressione rilassata, tanto che sento il bisogno di scostarle una ciocca di capelli dal viso.
Poso la bocca sulla sua fronte e con uno schiocco sonoro la lascio dormire, dirigendomi nel pieno della mia stanchezza verso il balcone, il pacchetto di sigarette già pronto tra le dita.

Mi accomodo sull'altalena all'esterno e mi porto il piccolo cilindro tra le labbra, accendendolo in qualche istante.
Abbiamo deciso di dormire qua, questa sera.
I loro genitori mancano, come sempre, e nessuno era abbastanza sobrio per guidare fino a casa.
Solo io e Abby, potevamo andar via, ma abbiamo preso la decisione di restare con gli altri.

Alzo il capo verso il cielo stellato che fino a poco tempo fa illuminava le iridi ghiacciate della ragazza che ormai giace addormentata nel suo letto, mentre attingo il fumo da quella sigaretta come se fosse il mio unico modo per respirare.

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