Capitolo ventiquattro.

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"Tu che ancora reggi
tieni botta
non ti abbatti
e risisti come se niente fosse,
ti prego
insegnami a fare come fai tu,
ad andare avanti
e a soriderci su."
-Gio Evan

48 ore.
Sono passate 48 ore da quell'incubo ad occhi aperti, ognuna di queste brucia sulla mia pelle.

Gli squarci continuano a far male, senza attimi di tregua, come se una fiaccola ardesse a contatto con la carne nuda.
I lividi sporcano il mio corpo come macchie d'inchiostro, rendendo l'intera superficie un campo di battaglia.

Ho contratto un'infezione, nonostante io sia stata medicata.
Alcuni dei tagli sanguinavano da ore, prima di essere trovata.

Non riesco a mangiare niente, a fare una qualsiasi attività quotidiana.
Non parlo nemmeno, mi maledico in silenzio per ore ed ore, con la penna che rumorosamente striscia sul foglio del mio quadernino, imbrattandolo di lettere scure.

Le mani sono scosse da tremori continui, la testa pulsa nel tentativo di calmare il mio corpo debole.
Un sospiro spezzato abbandona le mie labbra, mentre la penna viene scaraventata sulla superficie liscia della scrivania.

Mi alzo di scatto, facendo rovesciare la sedia all'indietro e iniziando a camminare su e giù nella stanza.
Le dita trovano una pausa al loro tremore tra i miei capelli, tirandoli leggermente in un gesto di pura disperazione.

Crisi di nervi, silenzio, sonno.
Crisi di nervi, silenzio, sonno.
Le ultime due giornate hanno seguito questo schema ben preciso, non compiendo niente che potesse violarlo.

Non mi ero nemmeno accorta di star piangendo, prima che il sapore salaticcio delle lacrime toccasse la punta delle mie labbra.
Non rieaco più a contenere tutta la frustrazione, la rabbia e la delusione degli ultimi avvenimenti.

La mia corazza si crepa, facendomi domandare se, per tutto questo tempo, quella che credevo essere fatta di pietra, non fosse invece di fragile vetro.

Mi rannicchio sul letto, la testa poggiata alle ginocchia e le mani sepolte tra i capelli, mentre il mio corpo intero viene scosso da singhiozzi ricolmi di disperazione.

Per quanto ancora dovrò sopportare tutto questo?
Non ce la faccio più, sono alla frutta.

Un leggero ticchettio attira la mia attenzione, facendomi alzare di poco il capo, notando una figura in piedi al buio, al di là della vetrata.
Assottiglio lo sguardo, i capelli scuri a coprirmi il viso pieno di lacrime.
Nel momento stesso in cui riconosco la figura al di là sella finestra, seppellisco nuovamente il visto tra le mie ginocchia, facendo finta di nulla.

La persona, rendendosi conto del mio tentativo di ignorarla, decide di bussare nuovamente, prima di fare il suo ingresso nella stanza.
Questo ragazzo sa già troppo, e non va bene.

Sa cosa mi è successo, mi ha recuperata dalla strada nonostante le mille discussioni.
Non posso permettergli di vedermi in queste condizioni.

Il materasso accanto a me sprofonda, a simboleggiare il suo accomodarsi.
Non dice una parola, mi fa semplicemente passare un braccio dietro la schiena, attirandomi a sè con delicatezza.
La mia posizione resta la stessa, con l'unica differenza che io riesco a percepire il calore del suo corpo trapassare il tessuto dei miei vestiti.

"Che ti succede, principessa ?" mormora con una dolcezza che mai ho sentito nella sua voce.
La sua mano trova i miei capelli, mentre un turbine di emozioni indecifrabili mi attraversa, spiazzandomi.
Improvvisamente la gola mi è secca, il cuore è pazzo.

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