Capitolo diciannove.

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"La primavera
é l'inverno
che ha avuto
coraggio."
~Gio Evan

Mi alzo contro voglia, percependo immediatamente sulla pelle la mancanza del calduccio che, per tutta la notte mi ha avvolta e coccolata.
Attingendo a tutta la forza possibile mi alzo in piedi e mi stiracchio, piangnucolando mentre mi trascino come uno zombie verso il bagno, maledicendo il momento in cui la mia mente ha deciso di non farmi addormentare subito.

Mi pettino subito i capelli scuri, legandoli in una coda alta e ben tirata, non avendo minimamente voglia di fare la doccia.
Sono anche già in ritardo!

Inizio quindi a lavare il mio corpo a pezzi, lasciando i denti per ultimi, decidendo così di non fare colazione.
Non ho appetito.

Dopo aver indossato il mio dolito total black, dó un' ultima veloce occhiata allo specchio, per poi sbuffare alla vista delle borse gucci che accompagnano il mio sguardo, per poi uscire dal bagno.
Non ho assolutamente voglia di truccarmi, mi sento fin troppo spossata oggi per mettere il minimo effort in qualsiasi cosa.

Non appena un trillo mi giunge dalla camera di America, allungo il passo ed esco velocemente dalla stanza.
Mi sono svegliata prima apposta per evitarli, sbattendo la porta di camera mia per il pure sfizio di far percepire loro la mia presenza.
Esco di casa come un razzo, avviandomi verso la fermata del bus.
Questa cosa mi annoia molto, ma sono fin troppo stanco per guidare la mia moto, e non sono così crudele da lasciarli a piedi.

Mi lascio cadere sulla panchina della fermata, iniziando ad armeggiare nervosamente con i lacci dei miei anfibi logori, contando i swcondi che passano mentre aspetto il bus giallo.
Non mi si può definire una persona paziente, nemmeno un po'.

Un rombo di moto attira immediatamente la mia attenzione, incuriosita da ogni veicolo che compie un rumore così forte.
Ma non appena riconosco chi la sta guidando, il mio sguardo si sposta sul mio cellulare, pregando mentalmente che non decida di darmi fastidio, nello stesso istante in cui lo percepisco rallentare.
Ma, con un sospiro di sollievo, non si ferma. Anzi, accellera.

Vorrei tanto non doverlo sopportare alla maggior parte dei corsi, ma la mia inesistente fortuna ha deciso che lui sarebbe stato il mio compagno di banco per il resto dell'anno.

Finalmente arriva il bus, e decido di scendere alla fermata precedente a quella della scuola: è a solo un isolato da essa, e io ho la necessità di ingerire un po' di caffè prima di entrare a scuola, altrimenti collasso sul banco.

Arrivata al bancone, cerco di rifilare il mio sorriso più falso alla ragazza che deve preparare il mio ordine.
Non vorrei che mi sputasse nel caffè.

"Buongiorno tesoro, cosa ordini?"chiede lei con un entusiasmo quasi snervante.
Intanto tesoro non mi ci chiami, mi preme sulla lingua, ma decido di prendere un bel respiro prima di parlare.

"Un Mocaccino semplice e una ciambella fondente." rispondo io, cortese.
"Qual è il tuo nome?" chiede lei, mentre scrive sul taccuino il mio ordine.
"Alyiah." sospiro, aspettandomi di tutto.
"Perfetto Alice!"annuisce, confermando il mio timore
"Nono, è Alyiah" la correggo mentre il mio sorriso si fa sempre più tirati.
"Alexa?" chiede con un'espressione da bambina confusa, che riesce solo ad infastidirmi.
"È Alyiah" ennesima correzione senza ottenere risultati, vedendo il nome "Alina" apparire sul bicchiere.
"Mi chiamo Alyiah. A-L-Y-I-A-H, è tanto difficile?" sbotto infine, poggiando con forza i soldi sul bancone.
La ragazza non risponde, si limita ad annuire, mortificata.

Mi faccio di lato nell'istante in cui il resto tocca le mie mani, aspettando che l'ordine sia pronto.
Dopo qualche minuto, la voce squillante della ragazza mi richiama dagli altoparlanti.
"Ciambella fondente e Mocaccino per Adeliana!"
In risposta, arriva solamente un'imprecazione.

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