Mentre, al di fuori della mia stanza, la musica della festa cresceva, io mi aggiravo raccogliendo, esaminando e scartando in rapida successione un vestito dopo l'altro, intimorita all'idea che Camilla ripiombasse di nuovo in camera a sgridarmi per il fatto di essere in ritardo ad una festa nel mio stesso appartamento, cosa, a suo dire, estremamente disdicevole.Finii di piastrare i capelli e, in piedi di fronte allo specchio, valutai brevemente gli ultimi due vestiti a cui avevo ridotto la scelta, per poi gettarli entrambi sul letto senza aver ancora deciso un bel niente. Quando udii la porta alle mie spalle aprirsi e poi chiudersi altrettanto velocemente, sbuffai e mi affrettai a precisare in tono di scuse.
"Cami, dammi solo un attimo, giuro che-"
"Quello rosso. Decisamente."
Il cuore mi affondò nel petto, al suono inaspettato della voce di Maurizio alle mie spalle. Mi voltai di scatto, ed il mio battito accelerò in un ulteriore sprint, nel momento in cui entrò nella mia visuale, mentre mi scrutava intensamente appoggiato a braccia incrociate contro lo stipite della porta.
"Che vuoi ancora?"
"Ti sto proprio sul cazzo," commentò con una punta di asprezza, ed anche senza vederlo, riuscii perfettamente ad immaginarmi la smorfia che doveva aver accompagnato la sua replica. "Perché non hai denunciato Andreas?"
Mi immobilizzai mentre mi stavo infilando i sandali tacco dodici, voltandomi per la prima volta consapevolmente nella sua direzione. "Cosa ne sai?"
"Manuel" Appoggiato contro la scrivania, incrociò le braccia sul petto ed alzò un sopracciglio con aria interrogativa. "Quindi, che aspetti?"
Mi scostai una ciocca di capelli dal volto e distolsi in fretta lo sguardo.
"Niente. Non ho intenzione di farlo."
"Perché no?"
Sospirai, valutando per un momento la possibilità di dirgli fino a che punto desideravo solo lasciarmi tutto alle spalle.
"Non sono affari tuoi," dissi invece chiudendo di scatto l'armadio. Sussultai quando, nel girarmi, scoprii che si era avvicinato di nuovo, di fatto non lasciandomi più alcuna via di fuga, né altra scelta che quella di incontrare infine i suoi occhi.
"Ho promesso a Manuel che mi sarei fatto i cazzi miei, a patto che tu avessi fatto le cose come si deve. Non lo fai, io vado da lui e gli spacco la faccia."
"Oppure, potresti semplicemente lasciar perdere," replicai con aria di sfida sostenendo il suo sguardo.
Sorrise appena, amaramente, e scosse la testa. "Non capisci ..."
"Hai ragione, non capisco," sbottai, punta sul vivo, l'ombra della nostra ultima discussione che tornava a farsi sentire in tutto il suo peso. "E ti sei assicurato di mettere la cosa parecchio in chiaro."
"Non era quello che intendevo, Debora," disse piano, "Non voglio trascinarti dentro ai miei casini."
"E quindi mi allontani, solo perché è la cosa più semplice da fare?"
"Tu accusi me? Quando è esattamente quello che stai facendo adesso, senza neanche farmi parlare?"
"Non c'è niente che io abbia bisogno di ascoltare," ribadii testarda, spingendolo con entrambe le mani contro il torace per crearmi abbastanza spazio da potermene andare. Fu abbastanza veloce da afferrarne una, prima che potessi ritirarle, e stringerla nella sua tenendola ferma sul suo petto.
"Non avrei dovuto andarmene." Un altro passo, ed eccolo ancora più vicino di prima. "Vuoi sentirmelo ripetere un'altra volta? Non avrei dovuto andarmene."