"Devi calmarti."
"Calmarmi Manu? Io lo ammazzo. Ma che cazzo di amici hai pure tu?!"
"Non pensavo che Andreas arrivasse a questi livelli! E poi cosa pensi di risolvere facendo così?"
"Non lo so, ma credimi che vorrei eliminarlo e basta."
"Voleva solo farti uscire di testa, e tu ti stai comportando esattamente come si aspetta."
"Me ne sbatto il cazzo!"
L'acceso botta e risposta tra Manuel e Mauri era solo nell'altra stanza, ma per quanto mi riguardava avrebbe potuto avere luogo anche dall'altra parte del mondo e sarebbe stato esattamente lo stesso. Ogni loro parola mi giungeva talmente distante da finire per confondersi in un chiasso indistinto che non riuscivo ad ascoltare veramente.
Dopo essermi imbattuta in Manuel, tutto il resto - avvisare le ragazze, tornare a casa - era avvenuto in una sorta di macchia confusa. Gli avevo chiesto di portarmi via senza fare troppe domande, lui lo aveva fatto, ed io gliene ero stata grata. Ma poi aveva chiamato Mauri, che si era precipitato a casa, e per quello lo avevo ringraziato un po' di meno, perché il solo udire la sua voce alterata dal diverbio con Manu sembrava portarmi, ad ogni secondo che passava, sempre più vicina al punto di crollare da un momento all'altro.
"Tieni."
Alzai lo sguardo su Camilla e le due tazze fumanti che stava tenendo in mano, ringraziandola con un impercettibile movimento della labbra mentre me ne porgeva una.
Le onde solitamente perfette dei suoi capelli erano arruffate attorno al volto pallido ed i suoi occhi, anche se adesso asciutti, portavano ancora segni di pianto e tracce di eye-liner sbiadito intorno alle palpebre. Eppure, davanti al lieve sorriso rincuorante che mi rivolse, non potei fare a meno di pensare di non averla vista da tempo così al suo meglio.
Si raggomitolò sul divano accanto a me poggiando in silenzio la testa sulla mia spalla, come in una qualsiasi delle tante serate a base di film strappalacrime.
Mentre le voci dei ragazzi continuavano a risuonare in sottofondo nell'appartamento, spostai lo sguardo verso la finestra, oltre la quale le prime luci dell'alba iniziavano a illuminare Milano.
Ipnotizzata dalle varie sfumature, mi accorsi dell'improvviso e anomalo silenzio che echeggiava nell'appartamento solo quando Camilla sollevò di scatto la testa e si rizzò a sedere.
"Sono di là, se c'è bisogno."
Fu seguendo i suoi movimenti, mentre si alzava e lasciava la stanza, che infine mi accorsi della presenza di Maurizio, in piedi di fronte a me.
"Stai bene?" lo sentii domandarmi in un soffio.
Sì, ragionai razionalmente. Perché era vero, ero a casa, ero al sicuro, e davvero stavo bene.
Ma poi incrociai i suoi occhi, e quello fu il mio primo errore. Con così tante cose ad agitarsi al loro interno e, sopra a tutto, così dannatamente, maledettamente belli.
"No ..." mi sentii rispondere, mentre ogni genere di lacrima risaliva in superficie, e in un istante tutto andava in pezzi - lui, quella orribile serata, la Sardegna, e poi ancora lui - e l'attimo dopo mi ritrovavo senza volerlo tra le sue braccia, con le sue dita a sfiorarmi i capelli ed il mio volto affondato nel suo collo, reso umido dal pianto sulle mie ciglia.
E lo odiai.
Odiai la sua guancia mentre mi sfiorava la sommità del capo. Odiai l'immagine fissa nella mia mente di lui che se andava senza guardarsi indietro, lasciandomi in balia di me stessa. Odiai la mia mano che si aggrappava con forza alla sua maglia, odiai il suo profumo ed il modo in cui mi riscaldò i sensi. Odiai l'improvvisa realizzazione di quanto mi fosse mancato quel contatto e di quanto bene mi facesse sentire.
Avrei voluto non farlo finire mai, e ne odiai ogni singolo istante.
Mi sciolsi dalla sua presa in un breve impeto di forza d'animo, movimento al quale Maurizio oppose fin troppa resistenza, eppure lasciandomi lo stesso andare troppo in fretta.
Mi posò una mano una sulla guancia e lasciò vagare il suo sguardo sul mio volto.
"Che cosa ti ha fatto?..."
Con il pollice asciugò una lacrima dallo zigomo ed andò poi a sfiorarmi il labbro tumefatto, con una tale delicatezza che avevo a malapena avvertito il suo tocco quando, istintivamente, davanti a quel gesto, mi ritrassi contraendo il volto in una smorfia.
"Starò bene."
"Dovevo essere lì a proteggerti," mormorò ritirando insicuro la mano di fronte alla mia resistenza al suo tocco, "Non avrei mai dovuto permetterlo. Avrei dovuto-"
"Cosa vuoi, Mauri?" lo interruppi, stupendomi io stessa della mia freddezza.
Aprì la bocca senza dire parola e corrugò la fronte, apparendomi, forse per la prima volta, davvero a corto di parole.
"Dovevo vederti," disse infine, "Assicurarmi che tu stessi bene."
"Bene," risposi, tentando invano di controllare sia il batticuore traditore che la voce malferma, "Allora adesso puoi anche andartene."
Sollevai gli occhi in aria di sfida, andando consapevolmente ad ingaggiare con i suoi una battaglia silenziosa nella quale sapevo in partenza che non ci sarebbe stato nessun vincitore.
"Ho sbagliato," confessò dopo lunghissimi istanti, il tono risoluto e lo sguardo fisso nel mio, facendo una pausa per prendere fiato prima di proseguire, "Ho reagito male, e non ho pensato ... Sistemerò le cose, io-"
"Sistemare cosa?" proruppi amaramente, sentendomi all'improvviso completamente esausta.
"Tutto."
La gola mi si chiuse, la paura di essere di nuovo illusa e delusa più viva che mai, mentre scuotevo la testa incontrollabilmente e mi alzavo per porre tra noi quanta più distanza possibile.
"Non posso. Semplicemente, non posso."