Mi fai schifo

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Pov Maurizio

"Dovremmo riprovarci," commentò Greta mentre si riaggiustava una sottile spallina del corto vestito nero che le si era strappata la sera prima.

"Senti, lasciamo le cose così come sono" precisai, mentre andavo ad aprirle la porta di casa.

Il leggero sorriso tirato che accompagnò il mio commiato si congelò all'istante non appena spalancai la porta, e mi trovai davanti due grandi, sconcertati occhi chiari, che si spostavano sgomenti da me alla mora al mio fianco, mentre la mano che aveva sollevato per suonare si abbassava lentamente e le labbra di Debora si schiudevano in un muto boccheggiare incapace di articolare parole.

Greta mi passò davanti, frapponendosi tra noi due, e, con un piccolo movimento della testa per lanciare i capelli all'indietro, rivolse a Debora un accenno di sorriso compiaciuto.

"Ci sentiamo," disse tranquillamente rivolta verso di me.

Debora la seguì con lo sguardo mentre se ne andava lungo il corridoio, fino alle porte dell'ascensore, finché non scomparve al loro interno. Solo allora si voltò di nuovo verso di me.

Avrei dovuto ignorarla, chiudere la porta, e lasciare tutto fuori.

Lasciare fuori lei e quel suo sguardo interrogativo e spaesato, lei ed un'altra discussione che sapevo mi avrebbe fatto scontare tutte le conseguenze del caso e finito per lasciarmi in uno stato ancora peggiore di quello attuale. Ma, probabilmente, da qualche parte dentro di me doveva esserci un lato masochista che, proprio in quel momento, aveva deciso di prendere il sopravvento, altrimenti non avrei saputo spiegarmi perché, invece di lasciare tutto fuori, istintivamente mi ritrassi di un passo per farla entrare.

"Cosa significa?" domandò stringendosi le braccia al petto con un lieve tremore nella voce, che fu immediatamente in grado di lacerarmi dentro.

"Cosa vuoi?" replicai, mentre senza aspettare risposta mi dirigevo verso la cucina e Debora mi seguiva, a passi agitati, proseguendo in tono pian piano sempre più acuto.

"Ti ho chiamato, decine e decine di volte, ti ho mandato dei messaggi, e sono venuta qua, e tu ...", la voce le si spezzò ed io, nel sentirlo, usai particolare violenza nel richiudere la caffettiera che avevo appena finito di riempire, "... avete scopato?"

"Possiamo evitare?"

"Evitare?" ripeté sconcertata, e non avevo bisogno di guardarla per notare il suo respiro più affannato per la collera trattenuta.

"Abbiamo una discussione," (... aveva davvero detto ʿdiscussioneʾ? Quello sì che era un tocco di classe per indicare la sua lingua nella bocca di Manuel), "ed è così che reagisci? Andando a scoparti ..." si interruppe e non finì neanche la frase, per poi sbottare con rabbia dopo aver ripreso fiato, "ti voglio ricordare che mi ha drogata!"

"Scusami, non sapevo che avessimo delle regole a riguardo," replicai voltandomi infine verso di lei, in un tono gelido per il quale mi odiai.

Mi fissò di rimando, restituendomi lo stesso sguardo da animale offeso e ferito che, sono sicuro, dovevo avere anche io.

"E quindi, invece di farmi spiegare, e ascoltarmi, mi ignori e ti infili nel letto con la tua ex," ribatté con una nota furibonda ed una tale indignazione che per un attimo quasi mi sfuggì l'amara ironia di quella frase pronunciata da lei, che solo la sera prima mi aveva riservato in pratica lo stesso trattamento, in una sottile ed inconsapevole ipocrisia così da Debora che sarebbe stato davvero facile sbattergliela in faccia.

E forse un po' mi maledissi anche per quella debolezza, perché nonostante quello, nonostante quel  bacio, nonostante tutto ogni volta che la guardavo, perfino in quel frangente, era ancora la ragazza che aveva smosso qualcosa in me che non credevo possibile, e davvero non ero capace di odiarla. Non avrei mai potuto odiarla.

Ma l'orgoglio ferito è qualcosa di imprevedibile, e prima di riuscire a fermarmi stavo già replicando con fare tagliente, "La stai  prendendo troppo sul personale."

Lo vidi arrivare, nel modo in cui serrò strette le labbra e nel lampeggiare dei suoi occhi umidi, ma non feci assolutamente niente per impedire lo schiaffo che mi sferzò la guancia, prima che Debora mi lasciasse lì assestandomi una spallata nell'andarsene, in un ultimo impeto di accanimento nei miei confronti.

"Mi fai schifo!"

Aspettai fino ad udire la porta d'ingresso sbattere con forza, prima di appoggiarmi con le mani contro il bordo del lavandino e chiudere gli occhi sforzandomi di inspirare, mentre la pelle appena sotto lo zigomo pizzicava e bruciava insieme a tante altre cose.

Poi, la caffettiera che ribolliva ed un piccolo scatto.

L'attimo dopo quel rumore insistente che fece schizzare i miei nervi tutto d'un colpo, e fu quella stessa caffettiera a pagare le conseguenze dello scatto della mia mano, che con uno schianto secco mandò la caffettiera dritta sul pavimento lanciando schizzi di caffè bollente tutto intorno.

"Cazzo!"

Stavo ancora scuotendo il braccio appena ustionato da alcune gocce di liquido fumante, quando sentii il campanello suonare, andai ad aprire e ovviamente chi mi ritrovai di fronte? Manuel.

L'alba || Salmo  (COMPLETATA) Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora