POV MaurizioPassate le 48 ore finalmente vedemmo la luce del sole. Andammo in studio dai ragazzi che ci stavano aspettando. Appena varcammo la soglia della porta dello studio, Ignazio e Nicola ci salutarono calorosamente. Ne approfittai e iniziai a chiacchierare con Ignazio.
"Vuoi il mio consiglio?" Si sporse verso di me con fare cospiratorio, e proseguì con un sogghigno divertito, "Continua la tua carriera, fai soldi , e metti la testa apposto con una ragazza che ti fa uscire di testa e soprattutto, non metterti nei casini, ne hai già avuto troppi Mauri."
Avevo la carriera , avevo i soldi, ma non lei.
"Carriera, soldi , hai perfettamente ragione, ma per quanto riguarda una ragazza vedremo."
"Come preferisci," replicò alzando le mani in segno di resa.
"Noi stiamo uscendo un attimo, vieni con noi? Saremo via un'oretta" disse Ignazio.
Scossi la testa e rimasi impalato, i ragazzi uscirono lasciandomi solo nella strana quiete resa ancora più forte dal rumore del temporale che stava iniziando fuori, sarei dovuto andare a cercare di sistemare cose rimaste troppo a lungo in sospeso e che forse stavo di proposito evitando.
Una sola, in realtà. Sarei dovuto andare da lei ore fa, invece di perdere altro tempo. Così mi alzai, ponendo fine al mio temporeggiare, tirai fuori il telefono, Segreteria, ovviamente, cosa grazie alla quale mi fu ancora più chiaro che non avesse ancora nessuna voglia di parlarmi e, beh, difficilmente potevo darle torto. Così decisi di mandarle una vocale su WhatsApp.
"Ehi," cominciai incerto, "Ascolta ... lo so che mi odi in questo momento, e non posso biasimarti. E lo so che non ci sono scuse che possano includere tutte le ragioni per cui dovresti semplicemente non ascoltare questo messaggio e scordarti di me. Debbi, io-"
Mi interruppi di colpo, distratto dall'improvviso ed insistente bussare contro la porta dello studio, con tanti cari saluti a qualsiasi cosa stessi cercando di dire.
Non c'è che dire, il tempismo perfetto era sempre stato dalla mia parte.
"Stiamo lavorando, non possiamo stare a chiacchierare!" gridai, mentre mi dirigevo a prendere a male parole chiunque fosse colui che là fuori aveva appena mandato a puttane persino quel pietoso e senza senso tentativo di scuse.
Ma ogni invettiva mi morì sulle labbra, nell'attimo stesso in cui spalancai la porta con un colpo secco e davanti a me trovai Debora, stretta nel suo giubbotto di pelle nero, che mi osservava da sotto i capelli grondanti di pioggia, tremando appena mentre cercava di ripararsi sotto alla piccola tettoia.
Lentamente, e senza proferire verbo, misi via il telefono, imbambolato come un ebete dai suoi occhi chiari e preparandomi, con una piccola fitta all'altezza del petto, a vederla da un momento all'altro urlarmi contro qualcosa o, ancora peggio, cambiare idea, scappare e andarsene così inaspettatamente come era arrivata.
Niente di tutto ciò.
Piegò appena la testa di lato come per osservarmi meglio, e mormorò titubante, "Pensi di potermi fare entrare?"