Piper
Se dovessi descrivere la mia vita userei un solo aggettivo: "monotonia."
Ho trent'anni e vivo a Londra sin da piccola. Abito a Leyton, un quartiere non molto gettonato, ma tuttavia tranquillo.
Trascorro le mie giornate a lavoro, e tempo per me ne ho proprio poco.
"Che lavoro farai mai!", mi chiederete forse.
Sono una cameriera. Cioè... almeno sul contratto c'è scritto che sono una cameriera, in realtà svolgo mansioni diverse. Pulisco i tavoli, cucino, prendo le ordinazioni e a volte faccio anche cassa.
Vivo per il mio lavoro, e anche se mi porta a rinunciare a del tempo prezioso per me posso dire che non lo cambierei per niente al mondo.
La mia famiglia vive in Florida, si è trasferita lì pochi anni fa. Mio padre ha trovato lavoro come manutentore elettrico, mentre mia madre lavora come insegnante.
E' stata lei ad avermi trasmesso l'amore smisurato per la letteratura e per gli autori classici.
Quando leggo un libro cerco di coglierne qualsiasi sfumatura, tenendo in considerazione il passato dell'autore, la sua vita e ciò che con il libro voleva comunicare.
Purtroppo non ho potuto proseguire gli studi dopo il diploma, i miei non se lo potevano permettere, così ho preferito lavorare.
Ed eccomi qui, in questo ristorante mentre pulisco i tavoli sulle note di Perfect di Ed Sheeran.
Ah, l'altra cosa che adoro è la musica: non ci vivrei senza.
"Piper, togliti quelle cose dalla testa e ascoltami un attimo.", urla letteralmente il mio capo costringendomi a togliere le cuffie.
Lo guardo e aspetto che quella bocca di merda che si ritrova inizi a muoversi.
"Oggi puoi staccare prima. Devo andare a sbrigare una commissione.", annuncia guardandomi.
"Oh, questa si che è una bella notizia", penso tra me e me.
Annuisco con la testa e continuo a pulire i tavoli con uno straccio vecchio e umido.
Jack, il mio capo, è un tipo apposto. Non ho mai avuto modo di vederlo litigare con qualcuno del personale, benché meno con sua moglie. E' tranquillo ogni giorno, tranne quando nel locale improvvisamente spunta qualche cliente che non vuole pagare.
"Tu non te ne vai da qui se non paghi.", disse una sera inveendo su un cliente.
"Ma... io ho già pagato.", insistette quello.
Ne nacque una disputa e io mi misi in un angolo per godermi la scena.
Alla fine il poveretto, dopo vari tentativi di persuasione, dovette pagare per forza, altrimenti sarebbe sicuramente finito in ospedale.
Jack non era cattivo, ma anche lui, come tutti noi dipendenti, lavorava moltissimo, e odiava quando qualcuno voleva fare il furbo.
Finisco di pulire i tavoli e mi tolgo il camice.
"Che farai ora?", mi chiede Samantha facendo capolino dalla cucina.
"Credo proprio che andrò un po'in giro.", le comunico sorridendo.
"Si, magari vai a fare un po' di shopping. Quella camicetta ti sta proprio uno schifo addosso.", esclama ammiccando lo sguardo.
Ecco, avete già capito che tipo è Samantha.
Beh, lei è..... lei è... ho bisogno di tempo per cercare l'aggettivo giusto che possa descriverla a dovere.
"Rompipalle.", esclamo in tutta risposta.
"Anch'io ti voglio bene.", grida dall'altra parte della sala.
Io e Samantha abbiamo un rapporto molto speciale.
E' stata la prima persona che ho conosciuto quando sono entrata in questo posto, la prima con cui ho legato.
Ne abbiamo passate tante insieme.
Lei di più.
E' figlia di un poliziotto che non ne ha mai voluto sapere niente di lei. E' cresciuta con la madre, che poverina aveva dovuto fare due lavori per mandare avanti la barracca. Appena sedicenne aveva deciso di lasciare la scuola e iniziare a lavorare. Era allora che ci eravamo conosciute: per me era la sorella minore che non avevo mai avuto.
Ci fu un periodo in cui mi comunicò il desiderio di volersene andare, abbandonare quel lavoro in cerca di altro, ma io la persuasi, le consigliai di non farlo, perché almeno in quella merda lo stipendio era garantito.
Accettò il mio consiglio, e ancora oggi siamo inseparabili.
Mi infilo il giubbotto ed esco di corsa salutando allegramente.
L'impatto dell'aria fredda mi congela il viso.
"Fa proprio freddo oggi.", penso.
Inizio a camminare. Voglio andare in centro ma non mi va di prendere la metro.
Così poco dopo mi ritrovo per le affollate strade turistiche di Londra, Piccadilly Circus e vie nei paraggi.
Respiro affannosamente.
"Queste sigarette mi rovineranno la vita.", esclamo.Entro in qualche negozio per uscirne subito dopo. Ho gusti molto difficili e nulla sembra convincermi.
Continuo a camminare quando ad un tratto sento il telefono vibrarmi nella borsa.
Trovare qualcosa nella mia borsa al primo colpo è davvero un miraggio, ma oggi il fato sembra essere dalla mia parte.
"Pronto?", rispondo subito dopo.
"Pronto? La contattiamo dalla London Metropolitan University.", afferma la voce.
"B... buongiorno.", dico cercando di ricordare.
"Spero che ricordi ancora la sua richiesta di iscrizione con borsa di studio presso questa facoltà.", continua.
Resto in silenzio per alcuni secondi cercando di fare mente locale.
Avevo presentato il modulo di iscrizione tre mesi prima. Sapevo di non avere speranze, a Londra c'erano studenti universitari con requisiti perfettamente compatibili con quelle borse di studio, e quindi con più possibilità di ottenimento. E allora cosa c'entravo io?
"Si, ricordo. Credevo che non fosse stata nemmeno presa in considerazione.", dico.
"E invece è stata presa in considerazione, e vorremmo vederla domani mattina, se le è possibile. Dovrebbe firmare dei moduli e poi può iniziare a frequentare anche subito.", risponde la voce.
Ero al settimo cielo: avrei studiato letteratura inglese? Avrei potuto finalmente raggiungere il mio sogno?
"La ringrazio. Domani ci sarò.", esclamo entusiasta.
"A domani allora.", conferma quella chiudendo poco dopo la chiamata.
"A domani.", rispondo tra me e me.
Inizio a saltellare da una parte all'altra del marciapiede, accorgendomi qualche istante dopo di aver involontariamente urtato una donna facendole cadere tutto ciò che ha a terra.
"Mi scusi, mi scusi.", cerco di giustificarmi estremamente imbarazzata.
"Spero tu abbia una buona ragione almeno per saltare e urtare la gente.", risponde quella abbastanza irritata.
La aiuto a raccogliere le cose da terra, mi viene da ridere ma cerco di trattenermi.
La guardo in faccia per un attimo, e solo in quel momento capisco di avere una dea davanti, e non una donna qualunque.
Ha capelli lunghi, corvini, due occhi azzurri e dei lineamenti da extraterrestre.
"io ... io...", tento di parlare ma le parole restano incastrate in gola.
"Non fa niente.", dice raccogliendo l'ultimo libro caduto e sorridendomi.
Non ho tempo di capire più nulla. Mi alzo anch'io, ma lei è già andata via.
Riprendo a camminare normalmente per evitare altri incidenti.
Sono così felice.

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Più forti della tempesta (Vauseman)
FanfictionAlex è una ricercatrice newyorkese che vive a Londra e lavora come assistente alla cattedra, Piper è una cameriera con il sogno di studiare e diventare insegnante. Entrambe così diverse... o forse no. Le loro strade si congiungeranno in modo inatt...