Capitolo 14

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A svegliarmi sono dei colpi alla porta, frettolosi, forti, come di quelle persone che hanno paura, che bussano con quell'ansia, quel terrore di trovare dall'altra parte una situazione, un qualcosa che non va.

Mi alzo dal letto, mi muovo lentamente, mi sento come in un moviola, sono così a rallentatore che mi sorprende che ancora chi ha bussato non si arrenda.

Quando apro capisco il perché non si sia arreso, Elijah non si è reso conto neanche che io abbia aperto la porta e mi cade addosso.

Con tutta la forza che ho in corpo, lo tirò sù.
Nonostante non fosse completamente a peso morto su di me, perché sennò saremmo inevitabilmente caduti, tirarlo sú è quasi impossibile.

" pensavo fossi con lui."
Piagnucola,
mi sembra un bambino...

"Al contrario tuo, ha un po' di contegno, mi ha lasciato in camera, dopo essersi assicurato che io stessi bene, e se n'è andato, è qui nella stanza accanto"

Arriccia il naso.

Dio mio, è uguale a quand'era piccolo.

Gli stessi atteggiamenti, le stesse movenze, quasi mi viene da piangere a vedere come siamo cresciuti, mi chiedo come ci siamo arrivati qui, come siano passati così tanti anni.

Lo accarezzo e lui come un bambino sporge il mio viso verso la mia mano, per darmi la possibilità di accarezzarlo altre volte.

Ha gli occhi chiusi.

Un bimbo che chiede affetto, ecco cos'è.

Un affetto che gli è mancato per troppo tempo, lo so.

Gli è stato negato dalla sua famiglia.

Fin da piccolo, lui era il capro espiatorio.

Davano sempre a lui la colpa di tutto, anche da piccolissimo, se Kat faceva qualcosa, la responsabilità e la colpa ricadeva su Elijah.

Mi ricordo la prima volta ad una cena con le famiglie.
Eravamo al risostante, insieme, Elijah aveva sette anni e mezzo.
Io e Kat invece ne aveamo quattro e mezzo, quasi cinque.

Stavamo correndo, giocando a nascondino, kat cadde a terra, ma sua mamma se la prese con Elijah, dicendogli che doveva dare l'esempio, che non doveva correre e che era stata colpa sua, così lo fece sedere, per tutta la cena.

Quando Kat combinava casini, lui senza dire nulla si prendeva le sue colpe, l'ha sempre fatto e lo fa tutto ora, e anche con piacere, i suoi genitori non gli hanno mai dimostrato affetto.
Kat era l'unica che li dava e gli ha dato sempre amore, stravede per sua sorella, per lei morirebbe , è diventata la sua ragione di vita, perché l'unica che l'ha amato, che gli ha insegnato a crescere e a far capire come vadano le dinamiche affettive.

Anche se lui non lo dimostra, so quanto abbia bisogno di lei, e forse lo so solo io, visto che sono l'unica oltre loro due che  "l'ha vissuta dall'interno."

Per questo vederlo alla mia porta, come un bambino sperduto che cerca casa e affetto mi fa capire quanto io sia importante per lui, e forse non lo sa nemmeno lui.

" Che ci fai qui Elijah?"

Distruggo il silenzio che si era creato, una bolla che ci aveva avvolto, la mia di ricordi, la sua non so di cosa, credo d'alcool.

Ho ancora la mia mano sul suo viso e lui ha ancora gli occhi chiusi, perduto.

" Volevo vedere come stessi"

In un attimo mi ritorna tutto in mente, il perché io stavo "male".

Ed il perché è proprio lui, è assurdo, inspiegabile, come io stessi male, per colpa sua e come trovarmelo davanti mi abbia fatto dimenticare il dolore.
Levo istintivamente e fulminea, come se fossi quasi bruciata, la mano dal suo viso e secca rispondo "sto bene"

Mai troppo lontaniDove le storie prendono vita. Scoprilo ora