CAPITOLO 36

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Elsa pov

Cinque giorni.

Questi sono i giorni passati da quando Elijah se n'è andato.

Questi sono i giorni in cui mi rotolo nel letto, ma non riesco a dormire.

Questi sono i giorni in cui vengo a scuola prima, per vedere i corridoi riempirsi e cercare di scorgere la sua figura, i suoi occhi distratti, i suoi capelli arruffati, la sua nuvola di rabbia che lo accompagna sempre e che a volte lo precede.

Mi sarebbe bastato vedere anche di sfuggita il suo sguardo, pieno d'odio, di rabbia, di rancore, di malizia, non mi sarebbe importato, almeno sarebbe stato pieno di lui.

E invece no, Elijah sembra scomparso, come polvere nel vento, e ad incendiarlo sono stata io, a farlo volare via, pure.

A scuola riesco a fare tutto tranne che stare attenta.

Lo immagino fare a botte, scappare.

E sento una fitta allo stomaco, prepotente, che sembra mi tagli le viscere e mi mangi le budella.

Sempre, ogni volta.

È stata colpa mia, ma sembra non importare a nessuno, tranne che a me.

Non è la prima volta che se ne va, ha sempre affrontato così i problemi: scappa.

Tutti ci sono abituati, io a volte neanche me ne accorgevo, ma ora so che è colpa mia.

E i sensi di colpa mi opprimono.

Non è il fatto che sia andato via, che mi spaventa, è il perché:
è ferito, e potrebbe mettersi nei guai.

Elijah è come un cane abbandonato.

Ringhia e cerca di mordere chiunque,
fino a quando non arriva un qualcuno che gli si avvicina un passo alla volta, senza sfiorarlo, e lui cerca di fidarsi di nuovo di qualcuno.

Io ci sono riuscita, l'ho avvicinato, ci sono riuscita, ma invece di sfiorarlo, l'ho preso a calci sulle ferite che già aveva.

È una bomba ad orologeria, e quell'incubo fatto
è reale.

Potrebbe davvero succedere ed è per questo che la sua assenza, mi logora e mi impaurisce, qualunque cosa succeda, sono stata io.
La colpa è mia.

E ciò non riesco a togliermelo dalla attesa

Può scoppiare e distruggere e distruggersi.

Ed ogni giorno le immagini di quella notte mi tormentano.

le sue parole, il suo sguardo implorante d'aiuto, le mie paure, le mie parole gelide come il fiume che avevamo davanti.

Questa paura e questi sensi di colpa mi stanno fottendo il cervello.

Sono tornata a quel grande garage blu in cui Elijah mi ha portato, non ne sarebbe stato felice se lo avesse saputo, anzi forse mi avrebbe anche vietato di andarci, urlato contro, spinto.

Invece non c'era e ci sono andata.

Quel ragazzo che mi aveva fatto la radiografia quando c'ero andata con Elijah, ho scoperto si chiami Bambo, in realtà si chiama Brandon, ma si fa di bamba, e da ciò deriva il soprannome.

Mai troppo lontaniDove le storie prendono vita. Scoprilo ora