Capitolo 30

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Sono in pista e sto ballando con Connor, sto quasi bene se non fosse per questo senso di inadeguatezza, questo fastidio dall'essere osservata da tutti, del peso di avere le opinioni di tutti sulle spalle, dal pensiero fisso di stare bene ma non abbastanza con lui.

Anzi, stare così bene con lui, mi fa capire che non potrà mai andare bene davvero.

Ci ho provato, ho pensato e parlato tutto il pomeriggio con Kat.

Mi ha consigliato di uscirci oggi, e io ci ho provato, ma mi sento in gabbia.

Una canzone mi si è ripetuta in loop tutto il pomeriggio nella testa.

" ma sai che non ho mai davvero amato qualcuno chi non mi ha lasciato almeno una volta il cuore spezzato."

Sono masochista, ma ci voglio provare, a strare bene, a non farmi male, ma sembra tutto così sforzato.

Poi la salvezza: una ragazza mezza nuda e con i capelli post-coito, inizia a chiedere a chiunque

"sei tu Elsa?sei tu Elsa?"

Quando la sento chiederlo a dei miei amici mi ci materializzo davanti :" Sono io."

"Perfetto, sali un'attimo con me ?"

Ma a fare che? Ma che vuole questa?

Mi ha salvato, quindi le dó il beneficio del dubbio.

Salgo.

Ed è tutto chiaro, limpido.

C'è Elijah, sdraiato sul water.

È così piccolo, sembra un bambino indifeso, e non uno che sa solo ferire la gente.

Quasi mi sembra surreale. 

Lo sfioro, mi fa tenerezza, proprio mentre lo sfioro come una scossa elettrica mi mi passano davanti tutte volte che l'ho visto ridotto così.

A New York, sdraiato sul divano con il sangue sul viso, ora.

Ma come fai a ridurti così? Perché poi?

Perché ciò ferisce anche me?

È per questo che lo sfioro appena e già mi distacco, mi blocco.

Voglio andarmene.

"Perché vuoi me? Vado a chiamare tua sorella?"

Gli chiedo per scappare, e sopratutto perché voglio capire: perché proprio io?

"No, aiutami a sdraiarmi nel letto, e chiudi la porta."

"Perfetto."

Posso andarmene.

Grazie a Dio.

Quando però sto per uscire dalla porta e chiudermela alle spalle un no mi fa sussultare.

Storco il naso.

Torno indietro, e mi poggio sul letto.

Mi torturo la guancia interna.

Vorrei scappare, non vorrei essere qui, e preferisco nettamente quel disagio che avvertivo prima invece che questi graffi che sembra mi lacerino il cuore.

"Avvicinati."

Ecco, era ovvio.

Non voglio. E vorrei fare come la bambina viziata che ero da piccola e urlare "no non voglio" e andarmene.

Mai troppo lontaniDove le storie prendono vita. Scoprilo ora