CAPITOLO 19

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L'appuntamento per partire da qui e ritornare in quella che definiamo "patria" è alle cinque di pomeriggio, dopo sette lunghissime ore in giro per New York ininterrottamente, finalmente torniamo in Hotel.

Sembra quasi un'apparizione.

Per tutto il giorno non c'è stata neanche la minima ombra di Elijah.

Scomparso.

Alle 5 e un quarto, dopo innumerevoli chiamate, lo vediamo entrare nella hall.

Calmo, come se il mondo fosse suo, calmo come se non fossi stata ricoverata stamattina.

Come se lui non fosse sparito proprio mentre avevo bisogno di tutti i miei amici, sopratutto di lui.

Siamo tutti così stremati e nervosi che neanche parliamo, o lo riprendiamo, tutti zitti ci infiliamo in macchina.

Con le stesse disposizioni dell'andata.

Quando siamo in macchina sono costretta da Kat che vuole avere tutto lo spazio dietro per lei, a mettermi davanti, accanto a Elijah.

Che neanche mi guarda, sono come trasparente.

Anzi, invisibile.

Quest'indifferenza mi brucia la pelle.

E l'unica cosa che mi fa davvero stare male è che è immotivata.

Che t'ho fatto?

Perché a volte mi fai bruciare la pelle come se ad ogni tuo sguardo io potessi rinascere migliore di prima? Come se fossi una cosa bella che vedi per la prima volta e altre invece divento come un oggetto qualsiasi,  inutile che non guardi neanche facendolo apposta? Perché a volte mi fai rimpiangere di possedere la mia pelle, di non poterla cambiare?

Silenzio.

E in silenzio passano due ore.

Poi, mi giro verso Kat per controllare se stia dormendo.

Lo so, è da vigliacchi aspettare che kat sia "fuori gioco" per cercare attenzioni da lui.

"Comunque sto bene, grazie di avermelo chiesto, e di essermi stato vicino come tutti stamattina"

"Prego"

Ok, ora io ti prendo a sberle, coglione.

Però la sberla sembra che l'abbia presa io visto che la frase mi colpisce come un pugno in piena faccia e mi fa male. Tanto male.

Sta zitto un'altra ora.

Ed io mi convivo che posso sopravvivere e resistere.
Debo solo respirare ed ignorare.
Quando però la mano di Elijah si poggia sulla mia gamba non sono poi così tanto sicura di riuscirci.

Prendo la mano e gliela sposto.

"Te l'ho detto Elsa, Dio mio, non ci vuole molto a capirlo. Io in ospedale non posso vederti, preferisco allontanarmi."

Mi giro, mi appoggio al finestrino, mi riappoggia la mano sulla gamba.
Di nuovo.

E io di nuovo la tolgo.

Non ci riprova più.

Io ne sono delusa.

Mai troppo lontaniDove le storie prendono vita. Scoprilo ora