Capitolo 2

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Elijah pov

Quando entro in casa dopo un duro allenamento, non vorrei fare altro che rilassarmi e mangiare.
Tanto che ogni volta, tornato a casa urlo a mia sorella dove sia il mio cibo e mi dirigo in camera mia.
Oggi però è diverso, è una voce non sua a rispondermi.
La voce é della piccola Elsa, e i suoi modi scazzati che mi incitano ad aprire gli occhi mi danno una botta di energia, un scarica di elettricità, che si tramuta in una frase volta ad infastidirla.

" Ah c'è anche la principessa"

É sempre così, è forse per questo che nonostante la frase provocatoria, un sorriso mi fiorisce tra le labbra e mi tradisce.

Ma non credo lei se ne accorga.

Poi mi dirigo in camera mia, a bloccarmi però é mia sorella, che con la sua voce squillante quanto allegra sentenzia che oggi andremo ad una festa, ed io non mi ribello, non mi ribello neanche quando mia sorella mi chiede di portare Elsa a casa sua per prendere i vestiti .

Un po' perché mia sorella è come una sentenza della corte suprema: inappellabile, un po' perché ho bisogno di uscire.

Salgo in camera mia, e le sento ridere ed urlare, mi ricorda quando erano bambine, non sono cambiate molto, io sì, mi sento lontano da loro, come se le potessi osservare, ma non imitare, ciò mi infastidisce un po'. Non so perché si è venuto a creare questo muro, tra me e loro, sopratutto tra me  Elsa, visto che quando eravamo bambini, stavamo sempre insieme.

Un po', forse lo so, Elsa era ed è la migliore amica di mia sorella, ma anche la mia maggior debolezza, non so come sia potuto succedere, ma all'improvviso, la sua presenza mi rendeva debole, mi faceva sentire a disagio, stupido, mi faceva sentire debole, giudicato, anche se lei non faceva niente, a parte che esistere, nella sua totale perfezione.

E questo mio tallone d'Achille l'ho anestetizzato pian piano, distruggendo il rapporto tra me e lei. Tra una battuta cattiva e una provocazione.
Io mettevo i mattoni, lei con il suo orgoglio e la testardaggine metteva il cemento.
E ci siamo distanziati, anche se a volte degli spifferi ci avvicinano l'un'altro alle soglie di quei mattoni, senza però mai superarli.

Sono però pur sempre un masochista. E non avendo più lei ad incasinarmi: l'ho fatto da solo.
E quel casino è ormai fin troppo presente e pressante per i miei gusti, tanto che non posso pensare ad altro che un messaggio mi illumina lo schermo, ma spegne me.

Stanco di essere sottomesso e sfruttato.
Così stanco che come un automa, ripeto le stesse azioni di sempre, mi preparo, mi vesto e scendo.
Il mio entusiasmo ad avere Elsa in macchina è svanito.
Tanto che la lascio fuori casa, le chiedo se riesce a fare tutti in un quarto d'ora e me ne vado.
Senza aspettare una sua risposta.
Arrivo nell'appartamento e tutto è una storia sentita e risentita, tutto è buio, ed una voce ripete le stesse cose: minacce, debiti e compiti.
Ed io invece mi ritorno a pensare ad Elsa, me la immagino farsi la doccia, la immagino aspettarmi, la immagino arrabbiarsi.
E dopo un ora e mezza, mi alzo ed esco da quello squallido post, il discorso sta per finire, ed io non ho voglia di aspettare che scemi del tutto.
"Devo andare."
Dico solo questo e ringrazio di essermi creato rispetto, perché questo atteggiamento del cazzo a qualcun'altro sarebbe costato il cervello, riempito forse di piombo.
Mi metto in macchina e corro come un forsennato, piccola Elsa, scusami, la mia vita sta andando a rotoli ed io non riesco a reagire, mi sto solo riempiendo di merda, senza saper reagire.

Quando posteggio davanti casa sua, vedo le luci spente e ho un po' di paura, che sia andata da sola.
Viviamo vicini, ma è comunque buio, e mia sorella mi farà l'interrogatorio. Per questo sceso dalla macchina mi catapulto davanti alla sua porta e proprio mentre sto per bussare, lei apre la porta e la ritrovo ad un centimetro dalla mia bocca.
Tremo.
Lei invece non si scompone, mi guarda indignata e mi supera.
"Dove vai?"
Ma mi ignora come fossi invisibile.

"Elsa, sali in macchina." Le urlo mentre la seguo
Ed in un attimo la mia auto è già lontana

Io mi imbestialisco, perché la sua testardaggine coccia con la mia.

Le afferro un braccio e la faccio girare verso di me, la guardo negli occhi, vorrei rimproverarla, anche se ha ragione, ma non riesco a dire nulla e mi sento impotente, ma non le lascio il braccio, e forse lo faccio con troppa forza, per combattere la debolezza delle mie mancanze.
La sua faccia dolorante mi risveglia dai miei complessi di superiorità.
E la mia debolezza implode, scoppia come una bomba, quando vedo il rossore sulla sua pelle, un rossore che le ho provocato io.
Lei incomincia ad urlare, ma le sue parole mi arrivano come ovattate tanto grandi sono i sensi di colpa e l'umiliazione.
Resto un attimo impalato, mentre la vedo dirigersi verso casa mia, che ormai è vicina.
Quando mi siedo in macchina dó una testata sul volante. Mi sento e sono un fallito, ma mai avevo toccato il fondo come oggi.
E quando torno a casa, mi siedo come un robot sul divano, a guardare il vuoto, senza neanche prepararmi, per la "serata" a cui non ho nemmeno più voglia di andare.
Mia sorella urla che siano pronte, ed io le rispondo con un secco: "scendete", le devo accompagnare, poi magari vado via.
Quando vedo Elsa scendere le scale mi sento impotente, e mi si forma il magone.
È bellissima, scende le scale come fosse una bambina, timida e piccola, ma è grande e bella come fosse una regina. Gli occhi mi ricadono però sulla mano destra che gioca con un bracciale al polso sinistro, lo stesso polso che io poco fa le ho stretto.

Il suo orgoglio mi trafigge il cuore.

Saliamo in macchina, ed io non so che dire, guardo la strada, e cerco di concentrarmi su di essa per evitare che il groppo in gola si trasformi in lacrime.
O che inizi ad urlare.

Quando scende dalla macchina vedo che mia sorella scompare e che Elsa come una pecora smarrita la cerca.

Ed involontariamente le affetto il braccio, per farla girare e chiederle scusa, ma il brivido nella schiena che si forma appena le tocco il braccio. Mi stronza il respiro e mi prosciuga la parola.

Lei, dal canto suo, neanche quando la tocco si scompone, sorride falsa e annuisce con la testa come a dire " fa niente."

Ma so che non è vero che fa niente.

Non ho la forza di dirle altro e lei mi scivola fra le mani.

Va via.

Entra, ed io per la seconda volta rimango inerme e fermo.

Mi ci vogliono un po' di minuti per ricompormi e a trascinarmi dentro è un mio amico.

Quando entrò la vedo in mezzo alla pista.
Balla sciolta e libera, e io l'ammiro.
Ed i sottofondi sento una frase che intona la canzone tecno che in realtà rimbomba nella stanza:

"Bella ed impossibile."

Quando vedo però un viscido ragazzo avvicinarsi a lei, e lei starci.
Le mie mani si trasformano in pugni.

In un attimo sono sgattaiolati fuori ed io, vigliacco, la seguo, nascondendomi dietro lo stipite della porta, dove la posso osservare, ma lei non può vedermi.
quando la vedo baciarlo, stringo i pugni e mi sale un conato, mi viene da vomitare.
Ma a vomitare è lei.

Ed scoppio in una risata, anche se non dovrei.

Poi sento una frase "Troia."

E mi ci vuole un secondo, solo guardando la faccia di Elsa a capire che, quell'aggettivo è riferito a lei.

Ed io non mi controllo, come una pantera con la preda mi ci scaravento addosso.

Iniziandolo a colpire, ed un po' lo colpisco per la frase che ha detto, un po' perché l'ha baciata.

Lei mi urla contro. Ma non la ascolto, non sento le sue parole.

Quando la sento tirarmi, ed una goccia mi colpisce l mano, mi volto verso di lei e la trovo in lacrime.

Quel volto pieno di paura, impressionato dal sangue intorno. Quell'adrenalina, si trasforma in senso di colpa, e per la seconda volta nella giornata, vorrei dirle qualcosa, spiegarle che l'ho fatto per lei, che avevo intenzioni buone, ma il suo sguardo, mi fa sentire terribilmente sbagliato, e voltandosi mi lascia là, impalato e solo, ed anche se tutti mi guardano, mi sento invisibile.

Mai troppo lontaniDove le storie prendono vita. Scoprilo ora