Trentasette

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Camila muoveva agitatamente la gamba, gli occhi puntati verso la porta in attesa che arrivasse sua madre. Ci trovavamo in bar in centro, perché sua madre aveva voluto che si incontrassero in un luogo pubblico, piuttosto che nella struttura dove si prendevano cura di loro. Non era di certo un posto orribile, solo che diceva di sentirsi più a suo agio in quella maniera. Ovviamente, Camila aveva acconsentito e adesso aspettavamo in silenzio che giungesse. Stava facendo tantissimi progressi, e il semplice fatto che volesse uscire era un grande passo avanti. Mi tenevo aggiornata su quello che succedeva qui a Manchester, perché volevo assicurarmi che stesse meglio il prima possibile. In un certo senso, volevo essere d'aiuto a quella donna come non ero stata in grado di essere per mia madre. 

<<Camz, va tutto bene>>, dissi, accarezzandole la mano. Lei mi guardò brevemente, come se non si rendesse nemmeno conto della mia presenza. Si alzò in piedi e corse verso la porta. Sorrisi quando sua madre la strinse forte, ed entrambe scoppiarono a piangere quasi subito. Si stavano parlando all'orecchio, interrotte dai pianti e dai baci affettuosi che si scambiavano di tanto in tanto. Sua madre le mise le mani sulle spalle, la guardò dritto negli occhi e seppi che quello sguardo stava dicendo molto di più di quello che si potevano dire a parole. La strinse contro il suo petto subito dopo, attirando l'attenzione delle persone che si chiedevano che diavolo stesse succedendo. A nessuna delle due sembrava importare, quasi come se tutto il resto del mondo fosse sparito. 
Camila mi indicò col dito, facendomi alzare in piedi. Col braccio della madre stretto intorno alle spalle e il suo piccolo corpo stretto contro quello dalla più grande, si avvicinò a me. Sorrisi dolcemente alla madre di Camila, rendendomi conto che era cambiata dall'ultima volta che l'avevo vista. I suoi capelli erano più ordinati, indossava quei vestiti con orgoglio, ricordandosi di essere una donna. A Bristol, indossava sempre delle tute e il suo aspetto era trasandato. Mi ero resa conto che Jorge non le permetteva nemmeno di indossare un qualcosa di più femminile, non per il fatto che potesse essere geloso quando lei usciva a fare la spesa, ma proprio perché voleva che dimenticasse di essere un individuo. Voleva farla sentire inutile e c'era riuscito benissimo. In quel momento, dunque, vederla camminare a testa alta, con dei vestiti che abbracciavano le sue curve e gli occhi pieni di sicurezza, mi sentivo felice. 

<<Signora Estrebao>>, dissi, porgendole la mano. Non voleva essere chiamata col cognome del marito, lo sapevo benissimo. Me l'aveva detto quando passavo a trovarla, prima che Camila tornasse da scuola e quando Jorge non era in casa. 

<<Lauren...>>, mormorò, un po' come un saluto, un po' come un ringraziamento. Mi spiazzò quando avvolse le braccia intorno al mio collo, abbracciandomi con forza. A disagio, ricambiai il suo abbraccio, guardando Camila in maniera confusa. Ridacchiò, richiamando sua madre con una mano sulla schiena.

<<Sediamoci>>, dissi, indicando le sedie ed il tavolo. Camila si sedette accanto a sua madre, lasciando me seduta di fronte ad entrambe. Gli occhi della più piccola studiarono attentamente quelli della donna, come se volesse assicurarsi che non ci fossero più lividi e un piccolo sorriso si formò sulle sue labbra quando notò che non c'erano per davvero.

<<Come stai, mija?>>, chiese sua madre,  accarezzandole la mano. 

<<Io...non...semplicemente non ci posso credere>>, sussurrò Camila, asciugandosi gli occhi con le mani. 

<<Magari sarebbe meglio se me ne andassi, così potete parlare più apertamente>>, dissi, alzandomi. Sapevo che c'erano delle cose che dovevano dirsi da sole, faccia a faccia, perciò la mia presenza era di troppo. Camila mi voleva come supporto, ma in quel momento il mio compito era finito.

<<Sicura che non sia un problema?>>, chiese Sinue, ringraziandomi silenziosamente con lo sguardo. Mi misi in piedi, scuotendo la testa.

<<Andrò in quel centro commerciale>>, dissi, indicando col dito il grande edificio che si trovava dall'altro lato della strada. <<Quando avete finito, mi chiami e vi passo a prendere, oppure potete raggiungermi>>, terminai, facendole un occhiolino. 
Presi il mio cappotto e lo indossai, allontanandomi dal tavolo. Mi voltai prima di uscire dal bar, trovandole intente a parlare animatamente. 

***

Un'ora dopo, avevo finito di fare un giro completo del centro commerciale. C'erano un paio di negozi interessanti e se non avessi lasciato il mio portafogli a Camila, sicuramente avrei svuotato la metà dei negozi che mi interessavano. Ero una fan sfegatata della moda, e spesso mi lamentavo di non avere nulla da indossare quando c'era un armadio colmo di vestiti che avevo messo una mezza volta. Ero fatta così: complicata come una donna, spendacciona come un uomo.
Era stato divertente andare in giro e vedere gli uomini che mi fissavano con desiderio, cosa che a Bristol non succedeva mai. Sapevano tutti che sarei stata più interessata alle loro sorelle, piuttosto che a loro. Qui, però, le cose erano diverse e dovevo ammettere che mi divertiva vedere le loro espressioni mentre mi fissavano passare. Il mio sedere doveva essersi consumato, ormai.
Comunque, Camila non aveva ancora terminato con sua madre, dato che non mi aveva inviato un messaggio. Mi faceva piacere sapere che si stavano mettendo al corrente di quello che accadeva nelle loro vite, ed ero sicura che presto o tardi avrebbero toccato il tema "Lauren" e solo per quello, avrei voluto sapere cosa si dicevano. In un certo senso, volevo che Sinue non avesse problemi con me. Sarei stata contenta se avesse avuto dei commenti positivi nei miei confronti, perché volevo davvero solo il meglio per Camila. 

Presi il mio telefono, perché volevo inviare un messaggio a Taylor. Anche lei voleva sapere come andava con Camila e sua madre, però mi ero completamente dimenticata di mandarle un messaggio appena uscita dal bar. Sbloccai il telefono e cercai il suo contatto per iniziare a scriverle il messaggio: le dissi che erano state contente di vedersi, che andava tutto bene e che aspettavo che mi chiamassero per farmi sapere che avevano finito. 

<<Lauren?>>, chiese una voce incerta alle mie spalle. Mi congelai sul posto, sentendo il cuore battermi con violenza nel petto. Mi rifiutavo di girarmi, però non sentivo nemmeno la forza per potermi allontanare. Avrei potuto fingere perfettamente di non averla sentita e correre il più lontano possibile, però mi ritrovai a stare ferma e girarmi lentamente. 
Quando i miei occhi si posarono su di lei, il cuore impazzì completamente, riconoscendola immediatamente. 

<<Lauren, amore mio>>, sussurrò, avvicinandosi a me. Volevo correre a gambe levate, avrei dovuto farlo, eppure non riuscivo a muovermi. Indietreggiai solo quando provò ad abbracciarmi, facendole capire che era meglio che non si avvicinasse a me. 

<<Forse me lo merito>>, mormorò, notando il mio gesto. Lessi il dolore nel suo sguardo, però cercai di restare impassibile. 

<<Cosa ci fai qui?>>, domandò, come se si fosse resa conto improvvisamente che ci trovavamo in un centro commerciale a Manchester. Non le risposi, limitandomi a guardarla. Non riuscivo a credere che fosse davanti a me dopo tutti quegli anni e maledizione, non era cambiata nemmeno di una virgola.

<<...mamma...>>, sussurrai, sentendo le lacrime formarsi ai lati dei miei occhi. 

<<Piccola mia>>, disse, approfittando di quel momento di debolezza per stringermi tra le sue braccia. 

Daddy's little girl(Lauren G!P)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora