Ero seduta sulla mia solita panchina, quella nel parco non troppo distante da casa mia. Il legno sbeccato e consunto non la rendeva accogliente come un tempo, eppure era dai tempi in cui ero poco più che una bambina che venivo a rifugiarmi qui. L'unico modo che avevo da sempre per sfuggire dalla realtà.
Tirava un leggero venticello, quel che bastava a scompigliarti i capelli ma non era mai abbastanza fastidioso da far rientrare in casa qualcuno. Fosse per me, avrei passato il resto dei miei tempi sotto i rami spogli degli alberi su un tappeto di foglie autunnali, a dipingere una realtà che non poteva essere più malinconica.
Mi persi a guardare il vialetto, lievi folate facevano danzare le foglie ingiallite e un sorriso mesto mi si dipinse in volto nel vedere una bambina passeggiare felice con i genitori. La tenevano per mano, sorridenti e belli come un quadro, lei sprizzava di gioia mentre di tanto in tanto veniva slanciata in aria come fosse su un'altalena. Stringeva le loro mani con un amore che gli si leggeva dagli occhi brillanti e quanta malinconia provai io nel guardarla... tale che mi si strinse il cuore nel petto. In quanti danno per scontato momenti del genere, quanto avrei dato io per provare anche solo lontanamente qualcosa di simile.
A volte stringevo gli occhi forte, così tanto da sentir dolore, serravo i denti ingoiando il groppo che mi mozzava il fiato e speravo. Speravo di svegliarmi d'improvviso e rendermi conto che i giorni vissuti non fossero stati altro che un brutto sogno, un incubo...che quella notte non fosse mai arrivata.
D'impeto chiusi il libro che stavo leggendo prima di perdermi in tutto ciò.
Tornai vigile, non era il momento.
S'erano fatte le cinque, per quanto avessi provato a ghiacciare il tempo i secondi erano corsi veloci, i minuti e le ore ancor di più. Tornò il magone, il nodo alla bocca dello stomaco che mi logorava ogni volta e sospirai rassegnata. Dovevo tornare.Presi la via di casa e la camminata era lenta, trascinavo i passi controvoglia ma la consapevolezza di non avere scelta era lì. Era il mio spettro.
Tutto aveva avuto inizio il sette novembre, il sette novembre di dieci anni fa. O forse da quel giorno tutto aveva avuto fine... la notte in cui persi la donna più importante della mia vita in un tragico incidente stradale. Mia madre.
Pensare a quel momento mi offuscava la vista. Il cuore sembrava tremare. Ricordavo tutto di allora, ero a casa da sola quando d'improvviso mi era giunta una sua chiamata alla quale non avevo esitato a rispondere...
Ero sorridente, pensavo volesse avvisarmi di star tornando con qualcosa di buono da mangiare insieme, ma furono pochi gli istanti che trascorsero prima di raggelare. Stava piangendo.
Era confusa, sembrava spaventata, ansiosa, come se il terrore la stesse assalendo. Aveva litigato con Jackson, mio padre. Fu una delle poche cose che avevo compreso al volo e non mi aveva sorpreso, lui era da sempre stato la sua condanna. Era un alcolizzato, beveva senza limiti e quasi ogni sera rientrava in casa urlando e spaccando ogni cosa.
Il panico non c'aveva messo troppo ad assalire anche me pur essendo così piccola, dal momento in cui avevo captato che fosse in auto avevo iniziato ad implorarla di calmarsi, di tornare a casa, che tutto si sarebbe sistemato come sempre. Lei sembrava l'incarnazione del terrore, non avevo idea di cosa potesse essere accaduto ma avevo iniziato a tremare mentre lei urlava. Dovevamo andarcene, me l'aveva ripetuto quasi biascicando le parole ma di lì a poco..quel frastuono.
Il suono della mia vita spezzarsi.
La macchina di mia madre quella sera ebbe un frontale con il rimorchio di un camion nel mezzo di un incrocio, la donna che mi aveva messa al mondo, cresciuta ed amata incondizionatamente più di chiunque altro, era volata mia. Come una foglia spazzata dal vento.
Ed io ero stata lì, dall'altro capo del telefono, ad udire un fragore che mi sarei portata dietro negli incubi per sempre.
Lì la mia vita era decaduta per due versi. Se da una parte mi ero ritrovata ad affrontare il dolore di un lutto così atroce, piccola e sola, dall'altra c'era la condanna che sarebbe stato vivere alla mercé di quel mostro.
Sollevai lo sguardo ed ero ai piedi di casa mia.
Il legno chiaro degli esterni contrastava con l'oscurità nella quale annegavo all'interno e mi schiarii la gola. Le poche foglie rimaste sugli alberi mi caddero davanti."Forza Hannah" mi dissi piano.
Picchiettai nervosamente le dita sulla copertina del libro mentre salivo gli scalini della veranda, ero ansiosa. S'era fatto più tardi del solito e sapevo quanto ciò potesse turbarlo.
Purtroppo da quando la mamma era venuta a mancare, non solo aveva continuato a bere, aveva anche iniziato a maltrattare me come non aveva mai azzardato quando lei era ancora in vita. Fisicamente e mentalmente. Quante di quelle volte mi aveva accusata di essere la causa di tutto, il motivo per il quale la sua macchina aveva sbandato quella sera. Era colpa mia se era morta, me lo diceva sempre.
Infilai le chiavi nella serratura e la feci scattare, con un cigolio sommesso tagliai il silenzio che si udiva all'interno ma mi bastò trovarmelo davanti per smorzare tutto il resto.
«Quante volte ti ho detto che non devi rimanere fino a quest'ora fuori casa?» aveva la voce rauca, atona e tagliente come schegge di vetro. Chinai la testa, l'ultima cosa che desideravo in quel momento era fargli credere un affronto e lo sentii avanzare.
«Mi dispiace, mi rilassa stare all'aria aperta, non avevo guardato l'orario» tentai di calmarlo, speravo mi lasciasse libera di rintanarmi nella mia stanza. Ero sazia.
«È inutile che ti scusi ragazzina, vai a preparare la cena» sentenziò snervato, il suo alito era ripugnante, l'alcol mi pungeva come stessi annusando il collo d'una bottiglia piena e deglutii.
«Va bene» asserii piano e prima che potesse dire o fare altro lo aggirai e me ne andai in cucina, prima avrei preparato la cena prima avrei potuto ritirarmi. L'opzione di obbiettare era impensabile.
La mia vita ormai era questa.
Non uscivo mai di casa, se non per andare a scuola o a leggere nel parco qui dietro, dove se avesse voluto controllarmi gli sarebbe bastato poco per accertarsi che fossi lì. Non mi aveva mai permesso di fare altro, le conseguenze da pagare se avessi disubbidito non avevano ritegno. Me l'aveva lasciato chiaro in più di un'occasione e con gli anni, avevo imparato ad accettarlo.
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My Hero
RomanceHannah è costretta a vivere nella prigionia che per lei rappresentava la sua stessa casa, succube di un padre che tutto le augura fuorché la felicità. Un suo compagno di classe, dopo anni passati all'oscuro della sua esistenza finisce per notarla, u...