29 || Dolcissima tortura

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Hannah's P.O.V

«Alle sei in punto, non un minuto più tardi ragazzi!» un professore che non rientrava nella lista di quelli dei miei corsi, continuò a sgolarsi davanti la massa di studenti radunati davanti a se mentre per la terza volta di fila si raccomandava sull'ora in cui avremmo dovuto ritrovarci tutti di nuovo qui per rientrare in hotel e mi limitai ad annuire con le braccia incrociate al petto.

Oggi era già il penultimo giorno qui a Parigi, le giornate sembravano essere volate ed eravamo tutti radunati in una piazza non molto grande, pronti a goderci le prossime due ore di svago in totale libertà. Anche se per quanto mi riguarda, sarebbe bastato ripetere una sola volta di tornare qua in orario, anzi che rischiare di perdere la voce urlando come un pazzo al centro di una piazza francese. Parte dei passanti non starà capendo nulla di quel che sta sbraitando, non tutti conoscono bene l'inglese al mondo.

E a fine raccomandazioni fummo liberi di incamminarci ognuno per le nostre strade, ma io e il nostro gruppo restammo uniti come al solito.

«Pensavo non finisse più!» si lamentò Austin, non appena fummo abbastanza lontani dai professori da non poterci sentire e condividevo in pieno le sue parole.

«Ci facciamo un giro?» domandò Brian avviandosi verso una strada a caso che sembrava essere piena di negozi e bancarelle ricolme di cartoline e souvenir per i turisti.

«Siamo qui per questo» asserì Natalie, l'amica di Zoey, camminando e osservando le vetrine ammirata dietro di lui.

Eravamo ancora ad aprile ma oggi faceva un caldo letteralmente estivo, da farmi desiderare di essere in pantaloncini corti e non avere questi dannati jeans addosso a comprimermi la pelle. In cielo non c'era traccia di nuvole, era azzurro e sereno come in pieno luglio e la via era piena di turisti muniti di cappelli con visiera, bottigliette d'acqua e macchine fotografiche pronte ad immortalare momenti.

Nonostante tutto il rumore del vociferare delle persone, si respirava un'aria così calma qui, che conferiva una tale tranquillità da fare invidia. Era una stradina non molto grande e riservata ai soli passanti, non trafficavano macchine, era riservata e il cinguettio degli uccellini faceva da sottofondo all'incantevole atmosfera che mi si era creata nel passeggiare tranquillamente mano nella mano con il mio ragazzo, mentre infondo al gruppo seguivamo i nostri amici.

Ma non per molto.

D'improvviso Noah mi tirò con se dalla parte opposta della strada, facendomi ritrovare catapultata davanti ai suoi occhi sognanti senza neppure darmi il tempo di capire cosa stesse accadendo «vuoi lo zucchero filato?» chiese fremente come un bambino di cinque anni, mentre con il mento indicava un venditore di zucchero non molto distante da noi. Perlomeno ora capivo da dove provenisse quell'incantevole e dolcissimo profumo.

Spostai lo sguardo in quella direzione, l'uomo di mezza età dalle guance paffutelle e arrossate, ci guardava sorridendo forse sperando ci avvicinassimo alla sua bancarella e tornai a guardare Noah «mm si» mormorai reprimendo un sorriso per il buffo ed improvviso modo in cui mi aveva trascinata fin qui separandoci dal gruppo, che ignari, aveva continuato a camminare per la loro strada.

Così dopo una piccola sosta davanti quella bancarella, io e il mio ragazzo tornammo a passeggiare insieme con in mano un bastoncino a testa, con su dello squisito zucchero filato.

«Gli altri sono spariti» lo avvertii guardando la folla di gente in strada che mi impediva di poter guardare più oltre di così e fece spallucce.

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